Giudizi errati intorno a Adriano VI. 145 incarico del cardinale Enkevoirt, essa doveva propriamente rappresentare un elogio, ma solo un critico superficiale può ricevere tale impressione : basta leggere appena fra le linee per riconoscere che l’ingrato Giovio, dove è possibile, preferisce osservazioni velenose e di scherno e cerca nel modo più volgare di rendere ridicolo il papa tedesco, che, eccessivamente amante della propria salute, approssimandosi l’ora del pasto interrompe le più importanti trattative e da ultimo muore per bere troppa birra.1 Quegli Italiani stessi, che si tennero lontani dalla generale smania di schernire e dall’ostilità contro Adriano, non furono giusti con lui. Caratteristico in proposito è il giudizio di Francesco Vettori, il quale pensa che Adriano fu fuori dubbio pio e buono, ma era meglio nato per fare il monaco : che del resto il suo governo non fu lungo abbastanza perchè si possa dare un giudizio su di lui.2 Fin dal principio nelle sfere dei politici era stato lanciato il detto che Adriano non fosse un uomo di Stato :3 esso venne ora ripetuto.4 Questo modo di giudicare è oltremodo caratteristico per il periodo del rinascimento: si era talmente formata l’abitudine di vedere nel titolare della Santa Sede soltanto il principe temporale, il politico e il mecenate,5 che non si capiva più un papa, il quale decisamente mettesse in prima linea la sua missione spirituale e volesse avanti tutto essere pastore delle anime. Il grave santo neerlandese, per cui erano indifferenti l’antichità e gli umanisti, che in politica evitava con ogni rigore le vie del Machiavelli e viveva con scrupolosa unilateralità intento unicamente ai doveri 1 Bttrkiiardt, 17, 17G. Virgili, Berni 71. iSull’origine della vita cfr, Denk-schriften der Miinchener Akad. H¡ut. Klasse 1891, 523. Giovio schernisce il papa anche nel suo De piscibus ; vedi Cian in Qiorn. d. lett. ¡tal. XVII, 298. 2 Vettori 347. V. anche Guicciardini XV, 2 e Chiesi 118. Prescindendo da poche eccezioni (Foscari presso Alberi 1* serie III, 125; Paruta I, 218 s.). tutti gli Italiani, non solo iSannazaro (cfr. Burmann 428 e Gothein, Kulturent-wieklung 460), ma anche Alberini (325 s.) e Bembo (cfr. 'Cian 19), giudicano in modo affatto ingiusto Adriano VI. Itjstinianus (Hist. rer. Venet. 1611, 256) riconosce bensì la semplicità del papa, ma poi riferisce un aneddoto del tutto sciocco. La * La Vita in Coti. 38. A. 6 della Corsiniana a Roma fa vedere quanto fosse corrente in Roma anche nella seconda metà del secolo xvi l’ingiustizia e l’assoluta assenza di comprensione relativameìnte al papa straniero. 3 V. »lettera di G. 51. della Porta del 22 settembre 1522 (Archivio di Statoin Firenze), il qnale adduce come prova un difetto di memoria del papa! Cfr. anche la »lettera del Castiglione 14 settembre 1522 nell’A r c h iv i o Gonzaga in Mantova. Anche Tizio allora scriveva quanto segue ; « De pontiiìce vero multi iudicabant, litteras atque bonitatem non sufficere ad re-gnum ecclesiae, Aristóteles namque in libris de regimine ’’non decet ’, inquit, bene principari, qui non sub principe fuit ” ». Hist, Senen. in Cod. G. H 3.9. 1 139 della Biblioteca Chigi in Roma. * Santtto XXXIV, 439 e »lettera di V. Albergati del 14 settembre 1523 Jiell'A.rchivio di Stato in Bologna. 5 Cfr. il nostro voi. IV 1, 576 s. Pastor, Storia dei Papi, IV, 2. 10