290 Libro III. Clemente VII. 1523-1534. Capitolo 5. al primo momento apparivano giustificate. Si sfruttò in larga misura l’inaudito spettacolo delle truppe del capo civile della cristianità, del patrono della Chiesa, che avevano messo a prova la, città del supremo capo spirituale cogli assassinii, gl’incendi e tutte le atrocità immaginabili. Anche vicinissimo a Carlo, in Ispagna, si sollevò un’opposizione non del tutto insignificante contro !a sua politica, la quale ora aveva condotto le cose al punto da rendere lui il carceriere del papa.1 La cognizione piena della condizione oltremodo difficile creata dal Sacco di Roma e la coscienza cattolica dell’imperatore lo trattennero dallo sfruttare fino all’estremo la sua vittoria, come ci aspettava da molti,2 non essendo neanche mancate esortazioni in proposito. Fin dal 25 maggio 1527 Lope de Soria aveva tentato da Genova di persuadere l’imperatore che non già un peccato, ma sarebbe piuttosto un’azione meritoria riformare la Chiesa in modo che la podestà del papa si limitasse esclusivamente al suo proprio campo, lo spirituale, e le faccende temporali spettassero all’imperatore poiché «appartiene a Dio ciò ch’è di Dio, all’imperatore ciò che è dell’imperatore ».3 Parecchi volevano andare anche più avanti. Da una lettera di Bartolomeo Gattinara riluce, che fra gl’imperiali nell’eterna città si discusse in tutta serietà la questione se andando avanti Carlo dovesse lasciare ancora in Roma la Sede Apostolica. Gattinara ed altri trovarono troppo pericoloso simile tentativo, perchè poi la Francia, l’Inghilterra e gli altri paesi eleggerebbero loro proprii papi, consigliarono però all’imperatore di tenere la cattedra romana cotanto debole da potere l’imperatore sempre disporre della medesima.4 Dal canto suo il Lannoy faceva a Carlo le più pressanti rimostranze. Esser necessario che le imprese si volgessero a qualche altro oggetto che non alla ruina di ciò che è cosa divina ed umana ; che non tutto il guadagno fosse per i soldati, tutta la perdita per l’imperatore; che non si violentasse ulteriormente il papa e non i Cfr. 1ÌACMiiAiìTKN, Karl 1'. II, (5(57 e sotto, p. 292 s. - « Gifl si diceva inlino da plebei uomini che, non istando bene il pastorale e la spada, il papa dovesse tornare in S. Giovanni Laterano a cantar la messa ». Varchi I, 197. 3 Gayangos III 2, il. 2(5. Vn.l.A, .inulto 1(5(5. * Viij.a 193 s. e Milanesi, Sacco 517 ; cfr. Schtjxz 7. Illustrativo del sentimenti d’allora fra i Tedeschi in Roma è il * testamento di Arrigus Theutonicus Camcracens. dioc. coUellarius in urbe in regione ». Angeli (Aduni Romae in regione ». Angeli ante apothccam ipsius te»tatori»), nel quale non si fa pi® i* computo secondo gli anni del pontificato, ma si dice nell’ inizio : * « In nomine » ecc. « A ¿527 regnante »erenissimo Carolo [indict.] decima quinta mensis Iunii die 29». * Lib. I script ur, archiconfrat. b. Marine [Campi Sancii I. Archivio del Campo Santo a Roma. In uno scritto polemico del 1527 J. Ziegleb chiedeva che Roma diventasse una città tedesca : vedi Riezlee VI 521.