rtime misure riformative di Adriano VI. (¡1 aveva conosciuto i successi di una riforma legittima partita dall’interno della Chiesa, era fermamente deciso a mettere in moto tutta la sua energia per iniziare in Roma stessa un decisivo miglioramento secondo le antiche massime della Chiesa ed eseguire poi questa riforma anche in tutta la Chiesa. Appena giunto nella eterna città, egli, conferendo la Segnatura di giustizia al cardinal Campegio e nominando datario 1’ Enkevoirt,1 non lasciò alcun dubbio sulle sue intenzioni riformative. Anche coi cardinali egli parlò ben presto in maniera chiarissima e già nel primo concistoro del Io settembre 1522 teneva un discorso, che suscitò universale maraviglia. La tiara, così egli, io non l’ho cercata, ma l’ho presa addosso come grave peso avendo conosciuto esser tale la volontà di Dio. Due cose mi stanno più che tutto a cuore; la unione dei principi cristiani per combattere il comune nemico, i Turchi, e la riforma della Curia romana. Nei due affari m’aiutino i cardinali poiché il soccorso all’Ungheria gravemente minacciata dal sultano ed ai cavalieri di Rodi non ammette dilazione come neanche l’eliminazione dei gravi mali di ordine ecclesiastico in Roma. E scendendo al particolare, su questo ultimo punto, Adriano addusse l’esempio dei Giudei, che, non volendo correggersi, erano continuamente visitati da nuovi castighi. Così è ora della cristianità. Il male ha raggiunto tale acutezza, che, come dice san Bernardo, coloro che sono coperti di peccati non sentono neanche più la puzza dei vizi. In tutto il mondo non si parla che del come si stia male a questo riguardo in Roma. Io non intendo dire, che i vizi esistano direttamente nei cardinali, ma certo che essi pullulano impuniti nei loro palazzi e questo deve cambiare. Esorto pertanto con tutta l’anima i cardinali ad allontanare dalle loro famiglie tutti gli elementi guasti, a togliere il lusso eccessivo ed a contentarsi di un’entrata di 6000 ducati al più. È loro sacro dovere dar buon esempio al mondo, pensare all’onore e al bene della Chiesa e stargli a lato quanto alle misure necessarie per la riforma. Il papa, narra un inviato, si servì di espressioni così forti, che tutti ne rimasero storditi : biasimò sì vivamente il modo di vivere che si teneva in corte a Roma, che non si può dire di più. Ne nacque una discussione oltremodo vivace, perchè, come rileva l’ambasciatore veneto, fra i cardinali una ventina si eguagliavano alle migliori teste del mondo. Forse le frasi più forti erano state da Adriano VI elevate contro la Rota dicendo, che vi si vendeva la giustizia e si decise che subito si agisse in contrario, precisamente conforme al parere dato dallo Schinner: chi degli uditori si ren- 1 Cfr. la *• lettera di G. de' Medici del 29 agosto 1522. Archivio di Stato in Firenze.