210 Libro III. Clemente VII. 1523-1534. Capitolo 3. 25 luglio i Senesi fecero una sortita, s’impadronirono di 13 cannoni e sbaragliarono gli assedianti.1 La notizia della non riuscita dell’impresa contro Siena giunse a Roma contemporaneamente a quella della resa del castello di Milano. Grande fu la costernazione e Clemente VII rimase tanto più addolorato degli insuccessi guerreschi, quanto maggiore era stata da principio la sua fiducia. Egli lagnavasi amaramente del duca d’Urbino, dei Veneziani e di Francesco I. Diceva di essere stato abbandonato da coloro, per i quali erasi messo in rischio. Dalla parte imiperiale già speravasi di potere staccare il papa dalla lega. - I lagni del papa non erano che troppo giustificati. A quel tempo non era ancora arrivato il soccorso promesso dai Francesi. Già era trascorsa una parte della stagione favorevole alla guerra e gli Italiani aspettavano ancora sempre invano l’appoggio da parte dei loro alleati francesi. Ciò faceva dovunque la più profonda impressione ed anche in un fautore dei Francesi così cieco come era il Canossa cominciò a spuntare l’idea che la sua patria fosse tradita da Francesco I; a Venezia gli bruciava sotto i piedi il terreno e fin dalla metà di luglio chiese istantemente d’essere richiamato.3 Clemente VII credette di dover fare ancora un ultimo tentativo: il 19 luglio mandava Sanga, un confidente del Giberti, dal re di Francia per ricordargli con serie rimostranze i suoi obblighi e possibilmente indurlo a contributi di denaro ancora più alti e sopra tutto ad una impresa contro Napoli.4 Tutto fu inutile. Il frivolo Francesco I pareva avesse perduto tutto il suo ardore guerresco e sciupava il siuo tempo e i suoi mezzi in cacce, giuoco e intrighi d’amore.5 A tutto ciò andava 1 Accanto al BeUttm luìianum edito