4» Libro II. Adriano VI. 1522-1523. Capitolo 1. Ma il difetto principale d’Adriano consisteva agli occhi dei curiali nell’essere uno straniero. Tutti gli Italiani di quel tempo erano fieri della sublimità della loro cultura e con disprezzo guardavano dall’alto su ogni straniero, specialmente sui zotici «barbari » tedeschi. E adesso uno di questi tali doveva governare in Roma, che fino allora era stata il centro del rinascimento letterario e artistico, doveva immischiarsi come elemento direttivo nella politica italiana! L’antagonismo nazionale fra Adriano e gli Italiani fu acuito ancora dalla circostanza, che il pontefice già avanti negli anni non aveva più la necessaria malleabilità per adattarsi all’ambiente in cose indifferenti e di minor importanza. Il linguaggio e le abitudini di vita proprie della sua nuova dimora gli rimasero cose estranee,1 tenendosi egli rigidamente fermo con una certa pedanteria al modo di vita tenuto fino allora. A lui. il veccl«o professore, mancava totalmente la grazia delle maniere di società, alle quali tanto tiene l’italiano. Anche a Roma egli non rinnegò il silenzioso, arido erudito, che ama la solitudine del suo studio e cui rende facilmente accigliato ogni relazione più estesa. La schietta semplicità propria della persona di Adriano e la sua rigidità ascetica formavano in confronto con Leone X un contrasto tale, che non se ne poteva immaginare uno più forte. Esso si rivela, come in tutto, così anche nell’atteggiamento da lui preso verso la cultura del rinascimento italiano. Allora tutte le persone colte andavano matte per l’arte antica, ma Adriano, che per indole era prevalentemente severo e freddo, precisamente per la sua bellezza mancava talmente d’ogni intelletto, che nelle creazioni di essa vedeva soltanto dei resti del paganesimo. A lui, natura prettamente religiosa, non offriva il minimo interesse la scintillante magnificenza dei marmi messa in mostra dai suoi predecessori nel Belvedere. Quando gli si fece vedere il gruppo del Laocoonte, che allora era considerato siccome la più importante opera artistica,2 egli con quel suo modo secco osservò : non si tratta però che di idoli pagani. Questo detto si crederebbe un aneddoto, se non ci fosse troppo bene attestato.s « Farà come Gregorio Magno », pensava Girolamo Negri, segretario del Cardinal Comaro, « e farà cuocere le antiche statue onde trarne calce per la fabbrica di S. Pietro ».4 È cosa sicura che egli 1 Adriano VI si serviva sempre deUa lingua latina (v. la * relazione di Bart. Prosperi del 21 settembre 1522), non intendendo a sufficienza l'italiano (v. * lettera di Enea Pio del 5 ottobre 1522. Archivio di Stato in Modena). 2 * Opus omnibus et pieturae et statuariae artis praeponendum, dice Tizio, * Bist. Senen. loc. cit Biblioteca Chigi in Roma. s Non solo da Jovius (Vita Adriani VI.) di cui l’autorità non basterebbe, ma anche da G. Negri nella sua lettera del 17 marzo 1523 in Lett. d. prine. I, 113. * Lett. d. princ. I, 113.