I. DISCORSO DI ANDREA MARINI MEDICO SOPRA L’AERE DI VENEZIA Grandi sono le bellezze o più tosto le maraviglie della illustrissima città di Venezia, dalle quali molti si movono, lasciate le proprie case, ad abitarla e goderla come amata e cara patria. Pare che la natura, o per dir meglio Iddio, abbi fabricata questa città, in questo sito, tra queste lagune, con arte divina a fine che sia essempio di città inespugnabile, porto di quiete e rifugio di veta libertà. La forma della república è tale che Platone nè Aristotele non seppe fingere una così bella: di che è segno che niun governo di república durò mai millecento e più anni come il felice governo di Venezia, il quale è con tali leggi stabilito che si può sperare che duri quanto il mondo. Il gran numero di gentiluomini, tutti principi, tutti privati, tutti capaci di principato, tutti soggetti alle leggi; la moltitudine quasi infinita di forastieri, che godono la medesima sicurezza e la medesima commodità che i nobili, fanno amabilissima questa stanza, oltra che non so se, dopo che le lettere sono rinate in Italia, si siano trovati in altra città tanti e così segnalati uomini nelle scienze e nelle arti quanti si sono trovati e si trovano in Venezia. Le quali cose e molte altre appresso mi spinsero già sett’anni, dopo ch’io aveva speso qualche tempo in Bologna, Padova e Parigi nello studio della medicina e che aveva travagliato in Italia e fuor d’Italia per le corti i migliori anni, a ridurmi stanco al sicuro e venir ad abitar in questa nobilissima città. Della quale mia risoluzione resto sopra modo contento e provo con verità che io non poteva ridurmi in alcun loco dove potesse passar la mia età con maggior quiete e dove la mediocrità mia, o più tosto bassezza, più cortesemente fusse ricevuta. Perciò che quasi nel principio cominciai oltre il mio merito d’esser favorito da molti gentiluomini onoratissimi e senatori gravissimi, con ogni sorte di favore, in modo che io non ho potuto accorgermi d’aver mutato patria ; anzi, e col corpo e con l’animo, ho sentito dalla mutazione grandissimo giovamento. Per la qual cosa son andato tra me stesso longamente pensando quel ch’io potessi far con molta fatica e molto studio per dimostrarmi in parte grato a questa illustrissima Nobiltà di tante cortesie ricevute, e ho ritrovato al fine di non poterla servire se non con quell’arte nella quale molt’anni mi son affaticato, dico con la medicina, con la quale sapendo io con l’informazione d’Ipocrate di non potere sicuramente ser-