i8 A. SEGARIZZI volta a tavola possiamo riparar al bisogno del nutrimento e schivar i disordini che seguono al seder due, non è vergogna all’ uomo di tralasciarlo? Il succo di mezza libra di carne, d’ una caraffa di vino e d’ un pane, che è il cibo commune, per lasciar ora gli altri condimenti e allettamenti del gusto, quando sia ben cotto in tutti i ventri e a tutte le parti ben distribuito, non è egli bastevole a rimetter 1’ umido perduto, e di soverchio? non è egli atto ad ingrassare ogni natura commune, nonché questa di Venezia ? che si farà adunque di quello che avanzi ? non altro veramente che fangoso escremento e materia di spiriti torbidi, di flemma cruda e esca di lunghe e pericolose iniirmità. E se si trovano e se si sono trovati nell’ età passate uomini sani, che han fatto e fanno tutte le loro operazioni e meglio degli altri col viver a questo modo, dubiteremo noi che la natura ci sia stata matrigna, la qual fu sempre madre giustissima ? Della misura dei cibi e dell’ ordine di pigliarli, voglio che ciò basti per ora, se prima aggiungerò, per consolazione di coloro che temono tanto la non mai abastanza lodata sobrietà, che la nostra natura ha bisogno di così poco alimento per conservarsi, e gli uomini T hanno fin ora così ben conosciuto e provato che le istorie sono ormai piene d’ essempi, tra quali racconterò brevemente i più illustri per non tesser la lunga istoria di coloro i quali nella sobrietà sono stati chiari. Visse ¡Vlassinissa re de’ numidi no-nant’ anni con un sol pasto il giorno senza alcun companatico e senza la colazione. E Poro re degli indi si contentò d’ un poco di pane e acqua sola il dì per tutta la vita, che fu lunghissima. E per parlar de’ nostri, che con le opere loro santissime hanno giovato a noi, e a se stessi aperta la via a miglior vita : visse Paolo primo eremita nella solitudine con datteri e con 1’ acqua da sedici anni infin alli nonantasette senza alcun agio della vita. Taccio d’Onofrio, che nell’eremo visse cent’anni d’erbe e di frutti selvaggi, e lascio Teremone abbate devotissimo che pervenne parimente a cen-t’ anni con perpetua sanità per l’istessa sobrietà. Ma che si dirà qui di Simone d’ Antiochia, che con un solo pasto la settimana di pane d’ acqua e di radici visse quaran-t’ anni rinchiuso in una colonna, e d’Elpidio Cappadoce che con due pasti pur la settimana visse vinticinque anni nella spelonca? Qual è di noi che lo credesse se l’istoria non fusse sacra ? Elia anacoreta non visse egli centovintisei anni con pochissimo e debolissimo cibo ? E Doroteo Egizio si contentò sessant’ anni continovi nella spelonca di sei onze di pane con un poco d’ erba il giorno. Ma quello fu forse essempio più a nostro proposito che Nicolò Tolentino con un solo pasto di pane e d'acqua il giorno fece molte fatiche nel servizio di Dio. E se questi essempi sono lontani dalla nostra memoria, e a giudicio del volgo tengono del miracoloso, non dee mover ogniuno la sobrietà del magnifico messer Alvise Cornaro e sodisfare per mille essempi, che con dodici onze di cibo e quattordici di vino ha vivuto da cinquant’anni e vive senza sentire i difetti della decrepità, col rendersi miracoloso a chiunche lo conosce? Lascio ora coloro che senza alcun cibo vissero i mesi e gli anni per non parer favoloso, tutto che non voglio tacerne alcuni, i quali ho da uomini degni di fede intesi e ho letti nell’istorie, dalla nostra memoria non molto lontano : a tempo di papa Leone quel prete famoso visse pur quarant’ anni senza gustar mai cibo d’ alcuna sorte, nè s’ ha saputo che il corbo e la colomba nascosamente lo'nutrisse. E sotto Lotario imperatore, che regnò nel tempo di Pascale papa, visse ancora una fanciulla tre anni, che era nell’ età di dodici. E del MDXLII, quando Ferdinando primo imperatore all’ ora re de’ romani andò a Spira per la dieta imperiale, fu per la sua diligenza provato che una fanciulla di Rodt, poco lungi da Spira, visse circa tre anni senza gustar mai cibo : di che rendendo la ragione i più dotti medici dissero che la copia della flemma, che distilla dal capo a tutte le parti del corpo, 1’ umidità dell’ aere che s’ispira, e la poca risoluzione dell’ umido naturale