ralc del comando a cui tutto obbedisce e si piega. Appena assunto il nuovo comando andò a riposarsi qualche ora. Poi, all’alba, si recò sulle prime linee, al Mon-tello, sulle rive del Piave, osservando di persona minu-tissimamente ogni particolarità dello schieramento difensivo. Ma fin da allora volgeva nella sua mente il grande piano offensivo a cui sarà legato il suo nome. La battaglia di Vittorio Veneto egli la vide in quell’alba di estate dalle linee del Montello, figgendo i suoi chiari lucidi occhi oltre il Piave, sul Piano di Sernaglia, tra i monti di Valdobbiadene e i poggi di Conegliano, cosi prossimi, ma velati dalla nebbia mattutina come in una lontananza chimerica di speranza e di sogno. I/uomo di netto discorso e di laboriosa tenacità che è Caviglia non visse da quel momento se non per realizzare questa speranza e questo sogno. Mi sia permesso evocare un pomeriggio di luglio in cui, davanti a un grande plastico, egli mi accennò alla possibilità di questa manovra strategica : tagliare in due l’esercito austriaco. Nulla mi disse, nè mi poteva dire di più. Ma io fremetti. Egli teneva il dito sul monte Cesen, e pareva che vedesse galoppare sui dossi del baluardo i suoi bei battaglioni. Vedeva limpido e giusto, con l’occhio che non falla, l’occhio della sua vecchia gente di navigatori e di soldati. E come volle, operò. Principale esecutore del piano strategico che, con la battaglia di Vittorio Veneto distrusse per manovra in campo aperto l’esercito austro-ungarico, il generale Caviglia ebbe l’intera fiducia di Diaz e di Badoglio e la solidarietà d’armi d’un altro grande capo, il generale Giardino, che con lui mosse in titanico collegamento 13