Anno MDCCXLVI. le argenterie de’beneilanti, col giugnere in fine a pagar anche buona parte del fecondo Millione di Genovine, animato a quello sforzo delle molte fperanze date, che farebbe condonato il rello: non illet-tero molto ad udiri! le richieile anche del terzone quelle poi s’andarono maggiormente inculcando dalle minaccie del Commiilario Generale Cotech del faccheggio e di ogni altro più afpro trattamento. La mirabil induitria d’eiìb Commiffario avea faputo con tanta facilità, cioè con un folo tratto di penna , trovare il Lapis Philofophorum ; fi credeva egli, che in efla penna durerebbe per fempre quella virtù. Intanto quel Governo di-confenfo del Marchefe Botta fceife quattro Cavalieri, per inviarli a Vienna a rapprefentar l’impotenza di ulte-rior pagamento, fperando pure migliori influfli dall’Imperiale e Reai Clemenza e Protezione, in braccio a cui s’erano gittati. Ma o fia, che non veniffe mai dalla Corte l’approvazione di tal Deputazione, o che veniiTe in contrario: mai non lì poterono ottenere dal Marche-fe i neceffarj pafìfaporti. Se poi s’ha da credere tutto quanto concordemente afferifcono i Genovefi, giunfe il Conte di Cotech ad intimare, oltre al fuddetto terzo miìlione, anche il pagamento d’altre gravi fomme per li quartieri del verno e quieto vivere , e dugento mila Fiorini per li magazzini delle truppe Genovefi, dichiarate prigioniere di guerra, i quali non v’erano, ma vi dovevano effere. Allegò il Governo l’impoifibilità a più contribuire; e perchè fuccederono le minaccie , fu rifpoilo, che il Cotech prendeffe quante rifoluzioni voleffe, ma che quelle in fine non potrebbero effere che ingiuile. Non andò molto, che il Generale Botta parimente richiefg Cannoni e Mortati alla Repubblica, per inviarli in Provenza; e non volendoli quella dare di buon grado, egli fped'i gente a levarli da i polli per quel trafporto. Questo era il deplorabile llato di Genova, cagione, che già molti Nobili, e ricchi Mercatanti aveano cangiato Cielo, non iofferen-do loro il cuore di mirare i mali prefenti della Patria, con paventarne ancora de’peggiori in avvenire. La troppo disgullofa voce del minacciato facco, vera o falfa che foffe, diffeminata oramai fra quel numerofo Popolo , di troppo accrebbe il già prodotto fermento d’ o-dio, di rabbia, di difperazione. E tanto più crebbe, perchè lamentandoli alcuni dell’afpro trattamento, che provavano, fcappò detto ad un Ufiziale italiano nelle truppe Cefaree , che fi meritavano di peggio. Poi foggiunfe : E vi fpoglieremo di tutto, Infoiandovi folamente gli occhi per poter piagnere. Meriterebbe d’effere cancellato dal ruolo de“ Cavalieri d’onore, chi nudriva così barbari fentimenti, e fi face a co-nofcere un Tartaro, e non un Criiliano. L’infima Plebe imparò al-