Anno MDCXCIII. 557 in querta vernata il paefe de’Principi dell’Italia, fenza commiferazio-ne a i Popoli, che gridavano alle lìelle per ie ei’orbitanti eftoriìoni, credendo, che di peggio non avrebbero fatto i Turchi nemici del nome Crirtiano. Per quefti flagelli funertiilìmo fu l’Anno preiénte , ed anche per un altro fommamente lagrimevole fpetracolo, cioè per un Tremuoto nella Sicilia , le cui icorfe non fon già foreiliere in quella per altro fortunata Ifola , ma lenza che vi foiTe memoria fra la gente d’allora d’ averne mai provato un sì terribile e micidiale. Cominciò nel dì 9. di Gennaio a traballar la terra in Meflìna , e ne’fuffeguenti giorni andò crefcendo la violenza delle fcoife , talmente che atterrò in quella Città gran copia delle più cofpicue fabbriche , e parte ancora delle mura d’erta Città, ma con poca mortalità, perchè il Popolo avvertito dal primo fcotimento fi ritirò alla campagna , e a dormir nelle Piazze. Le Relazioni, che corjfero allora , alterate probabilmente dal- lo fpavento e dalla fama, portano, che in altre parti della Sicilia incredibile fu il danno . Che la Città di Catania , abitata da diciottcT mila perfone , andò tutta per terra colla morte di Tedici mila abitanti feppellici fotto le rovine delle cafe . Che Siracuià ed Augurta, Città riguardevoli, reitarono diroccate, colla morte nella prima di quindici mila perfone, e di otto mila nell’altra, in cui anche la Fortezza, per un fulmine caduto nel Magazzino della polve, faltò in aria. Che le Città di Noto, Modica, Taormina, e molte Terre e Cartella al numero di fetiantadue furono defolate , ed alcuna abiifata in maniera, che non ne rimane veftigio alcuno.. Che più di cento mila per-ione vi perirono, oltre a venti miia ferite e ftorpie. Che in Palermo fu rovefciato il Palazzo del Viceré . Che la Calabria e Malta ripentirono anch’erte non lieve danno. Che il Monte Etna, o ila Mongi-bello slargò la fua apertura fino a tre miglia di giro . Io non mi fo mallevadore di turte quefte particolarità. Certo è folamente , che mi-ferie e rovine immenfe toccarono alla Sicilia per sì rtraurdinario Tremuoto, e che non fi poffono invidiare a i Siciliani le ricche lor campagne e delizie, fottopofte di tanto in tanto al pericolo di una sì dura penfione. Tomo XI. Anno