Della lingua albanese e della sua letteratura, ecc. 105 lingua abbastanza pura, cui per buona fortuna volle mantenere le caratteristiche dialettali che distinguono le parlate della provincia nella quale egli nacque. Ma le deficienze artistiche alle quali accenno non sono tali da far ritenere che, nel caso in ispecie, si tratti di un primo vagito della Musa albanese; pur essendo vero che ancora non siansi trovati altri testi antichi poetici di scrittori nati in Albania; che però potranno venir fuori domani, come, per altri riguardi, è accaduto dell’opera di D. Gjon Buzuku. Ad ogni modo il Budi è degno di ammirazione, anche per il suo patriottismo e per l’impulso che tentò di dare alla cultura dell’idioma nazionale, insegnando perfino, come leggesi in una delle ultime pagine della Dottrina, che Iddio non ascolta colui che prega in una lingua straniera e che ripete solo delle parole vuote, senza intendere quel che si dica. I suoi scritti poi, ricchi di voci e di forme non comuni, od in parte cadute in disuso, meritano di essere studiati assai più di quanto non siasi fatto ed ancor non si faccia, forse per le difficoltà che essi presentano a quei voluti albanologi, che, pronti sempre ad abborracciare delle grammatiche, li intenderebbero solo se l’autore avesse avuto l’accortezza di ammanirne loro una fedelissima traduzione, tanto meglio se corredata di numerose note ed anche di un copioso lessico. Ma a quest’ultimo bisogno può sopperire, sebbene in parte, il « Dictionarium latino-epiroticum una cum non-nullis usitatioribus loquendi formulis per R. D. Fran-ciscum Blancum epirotam, Coll, de Propaagnda fide Alumnum », edito a Roma nel 1635. Questo interessante volumetto di 222 pagine, fino ad oggi ritenuto da molti come il più antico libro stampato in albanese, oltre la dedica, la prefazione, ecc. contiene quasi 5000 vocaboli, ed altresì un elenco di numeri car-