Della lingua albanese e della sua letteratura, ecc. 109 scovo di Ohrida, e poscia di Scopia, morto più che ottantenne addi 13 dicembre 1683, zio paterno di M.r D. Pietro, cui fu largo di aiuti e di consigli relativi alla lingua albanese, che egli conosceva profondamente, e della quale aveva scritto anche una grammatica, che per disgrazia andò perduta. Questa notizia la ricavo dalla prefazione dell’opera dello stesso M.r D. Pietro, la quale, non essendo tradotta, ha impedito di far sapere che egli stesso nacque a Guri di Hasi, nel Sangiaccato di Ducagino, Diocesi di Prisrendi, e che, nei 21 anni che trascorse a Scutari, non si stancò mai di arricchire di vocaboli e di perfezionare il nativo dialetto con nuove forme, per renderlo atto ad esprimere ogni pensiero; sebbene non nasconda in proposito che « ornari* res ipsa negai, contenta do-ceri ». Accennando di volo agli Atti del « Concilium Provinciale, sive Nationale, habitum anno 1703, Clemente XI Pont. Max. Albaino », scritti in latino ed in albanese, editi nel 1705, e di nuovo nel 1868 a Roma; assai importanti anche dal punto di vista etnografico; nonché ai frammenti deU’Evangelo di San Giovanni e dell’Orologio greco, trovati in Elbasan, dove pure si è rinvenuta la versione di alcuni canti liturgici bizantini, di alcuni frammenti della prima epistola di S. Paolo ai Romani, e d’altri brani del Nuovo testamento, come pure quella di alcune favole greche antiche; ed in fine deplorando che, in seguito ad una epidemia pestifera, siano state distrutte le traduzioni del Vecchio e del Nuovo Testamento, dovute al dottissimo P. Teodoro, maestro di scuola e predicatore della chiesa greca di Elbasan e poscia priore del convento di S. Giovanni, nei pressi di quella città; al quale vuoisi anche attribuire la creazione di quell’alfabeto albanese, che l’Hahn e il Getler