Della lingua albanese e della sua letteratura, ecc. 91 relativa sicurezza, mentre lo studioso ha tutte le ragioni di pretendere che una tale sicurezza sia quasi assoluta. Nemmeno al Da Lecee, allo Xylander, all’Hahn, al Reinhold, al Gamarda, al Kristoforidhi, al Rossi, a Giuseppe ed a Girolamo de Rada, a Pasko Wassa, al Benloew, al Jungg, al Dozon, allo Jarnik, al Pisko, per non dire di quanti son venuti dopo e che minacciano di pullulare anche in Italia, è stato possibile di disciplinare una materia così importante; sì che agli ignari potrebbe parere men che strana l’opinione di Girolamo De Rada, il quale si permette di scrivere, che i plurali dei nomi albanesi danno immagine di sbandati, che da tutte le bandiere rifuggano dentro gli accampamenti. Ma già la grammatica della lingua albanese non può dirsi che sia così nota in tutte le sue regole fondamentali, da permettere di credere che non si tratti oramai che di perfezionarla qua e là, per renderla in qualche modo definitiva. Ciò può solo passare nella mente di chi osa somministrare al buon pubblico il futto del saccheggio dell’altrui, consumato con singolare disordine, e non già con quella rigida disciplina e con quel metodo rigoroso di cui ci hanno sempre dato esempio i dotti Lanzichenecchi Tedeschi, alle cui fatiche pur v’ha chi ostenta di riferirsi, nella vana speranza di deviare le proprie tracce dal vero luogo dove egli ha cacciate le mani malsicure per trarne bottino. A chi si limiti a studiare le opere del Meyer di indole etimologica ed ignori la lingua albanese, come disgraziatamente spesso avviene anche in Italia, impo-nesi la vasta cultura ed il sottile acume del valoroso scienziato, assai più che a coloro i quali la detta lingua profondamente conoscono, anche in tutte le varietà dialettali, e che sono disposti ad accogliere con ragionevole