98 Giuseppe Schirò Non è necessario intavolar qui una discussione sull’età del manoscritto, che non reca alcuna data, nè sulle cause che determinarono in esso la presenza del frammento albanese di cui si tratta, intorno al quale ebbe, già da alcuni anni, ad occuparsi una rivista ateniese, che in questo momento non ho sott’occhio; ma importa dire che il frammento di cui si tratta è scritto in lettere greche e che il codice è certamente anteriore, e di più che di parecchie diecine di anni, alla epoca della scoperta della stampa. La traduzione, a dir vero, lascia molto a desiderare, specialmente verso la fine, che non è del tutto conforme al testo; senza dire dei non rari barbarismi greci che presenta, nonché delle scorrezioni ortografiche che vi si incontrano in buon ninnerò, e solo in parte dovute alla insufficienza dell’alfabeto adoperato, sebbene con alcune particolari combinazioni di lettere, per rendere in qualche modo i suoni albanesi mancanti nel greco. Questo assai breve testo antico è in dialetto tosco, e forse darà argomento a chi sa quali dissertazioni sulla capacità, o meno, della lingua albanese per gli usi liturgici, e magari sulla opportunità di non persistere in simili tentativi, a chi si preoccupa di molte cose, forse belle e forse buone, le quali però non riescono a menomare l’importanza suprema del fatto che, anche l’Albania meridionale, da parecchi secoli, mostra il vivo desiderio di sottrarsi una buona volta alla nefasta influenza, che, per mezzo della lingua greca, definita come la sola che sia più volentieri, e forse più facilmente, ascoltata da Dio, hanno sempre esercitato sul più ignorante volgo, i più irreconciliabili ed i più antichi nemici della nazione albanese. Un’opera che, senza dubbio, sarà da tutti riconosciuta quale vero monumento linguistico di prim ordine,