Della lingua albanese e della sua letteratura, ecc. 115 rebbe onore a qualsiasi altro popolo civile, mi sembra utile rivolgere uno sguardo sui principali che son nati nelle colonie dell’Italia meridionale e della Sicilia, cui ebbero a tributare non poche lodi Dora d’Istria, l’Asco-li, il Comparetti e, per tacere di altri, lo stesso Gustavo Meyer. Tenendo nel meritato conto l’attività non comune di alcuni di essi, la Börsen Zeitung scriveva nel 1898 che dall’Italia fu gittata la scintilla della propaganda nazionale in Albania, e nei termini medesimi esprime-vasi il The Glohe di Londra del 18 febbraio di quell’anno; come nel giugno del 1901 il Fremdenblatt, che, per bocca di B. Molden, dichiarava come gli Albanesi emigrati in Italia abbiano saputo trasfondere ai loro compatrioti il tradizionale interessamento che essi nutrono per la loro antica patria. Oramai essi hanno le prove migliori per dimostrare il fatto che, fin dai primi tempi del loro esodio, gli Albanesi d’Italia, dopo un breve periodo, che direi di assestamento nelle nuove sedi, si diedero a coltivare la lingua nazionale, con la gelosa cura propria di quei nobili esuli che, spregiando il volgare principio espresso con le parole « patria est ubi bene est », vivono ognora con la speranza pari al desiderio del ritorno, o si consolano, almeno, nella terra straniera, per quanto amata, perchè generosa ed ospitale, con i cari ricordi del passato, che nulla può cancellare dalla loro mente, nè strappare dal loro cuore. Con vera soddisfazione ricordo che il più antico documento italo-albanese, che finora si conosca, è opera di un mio conterraneo, cioè del P. Luca Matranga da Piana dei Greci in Sicilia, il quale era stato alunno del Collegio di S. Attanasio in Roma. Consiste nella traduzione dall’italiano della dot-