92 Giuseppe Schirò ossequio gli insegnamenti di tanto maestro, che certo non pretendeva alla infallibilità, tranne che per gli elementi lessicali di origine evidentemente straniera, e per lui più latina o slava, anziché greca, anche quando al Camarda fosse riuscito di assodare il contrario. Un difetto fondamentale delle ricerche del Meyer sembra esser quello di non aver egli creduto di scevrare nella flessione degli elementi stranieri infiltratisi, profondamente magari, nell’organismo della lingua, da quelli che l’albanese ha comuni cogli idiomi affini; oltre a quello di non aver veduta l’origine di alcune forme, e di non aver quasi voluto riconoscere che molti vocaboli, da lui addirittura indicati come greci, latini o slavi, fanno parte del materiale comune indoeuropeo, per quanto si possano più facilmente confrontare con quelli che vi corrispondono meglio in una che in un’altra lingua del medesimo ceppo. Ad ogni modo il Meyer, specialmente nel suo Dizionario etimologico, tenne un esagerato conto dei vocaboli stranieri che s’incontrano, senza necessità, nelle varie parlate albanesi; non curandosi di rilevare che assai spesso non manca il vocabolo nazionale accanto a quello esotico, che talora viene adoperato per capriccio, o per moda, o per un certo fanatismo religioso. In base a tali criteri ed al materiale che ebbe disponibile, il Meyer videsi costretto a proclamare che l’albanese per miracolo non divenne una lingua romanza, e che il numero dei vocaboli albanesi è abbastanza esiguo, e che tali vocaboli non sempre sono riducibili a base indoeuropea, perchè non di rado bisogna attribuirli alla lingua di quei popoli che gli Illiri indogermanici, come egli naturalmente scrive, trovarono nella penisola balcanica, quando riuscirono a penetrarvi. Merito indiscutibile del Meyer è certo quello d’aver