Della lingua albanese e della sua letteratura, ecc. 127 opera non è possibile diare un’idea approssimativa in poche parole. Piacemi ricordare di lui il poemetto intitolato « / canti di Milosao figlio del despota di Sentori », ebe, a mio giudizio, è l’opera sua migliore, a buon diritto giudicata assai favorevolmente dal Tommaseo, dal Lamar-tine, dal Mistral e da altri. Girolamo De Rada e Demetrio Camarda ripresero le relazioni da qualche tempo interrotte con i connazionali della Madre-Patria, ritornando ad esercitare su di essi, per mezzo delle opere cospicue del loro non comune ingegno, quella benefica e feconda propaganda di sentimento e di pensiero che, essendo stata continuata indefessamente da altri italo-albanesi, promette oramai di produrre frutto tale, da assicurare per sempre l’unità e l’indipendenza dell’Albania sotto la protezione e l’egida della più grande Italia. Quanto ho fin qui detto prova all’evidenza che gli Albanesi, alla fin dei conti, non sono quei senza-libri che dicono i Turchi, e che la loro lingua ha una grandie importanza per la glottologia e per la storia, e che essa è così viva, così vitale e così robusta, da far concepire non vane speranze sul glorioso avvenire che le si ¡ire-para. f Prof. Giuseppe Schirò.