104 Giuseppe Schirò ma solo come ad un meraviglioso e quasi caratteristico indizio dell’epoca in cui furono composti i canti del Budi, mi vien fatto di pensare al Paradiso perduto di Giovanni Milton, che fu pronto per la stampa nel 1667, ed al Paradiso riconquistato che lo completa e che non è meno degno della più alta ammirazione; senza che perciò mi permetta di nutrire il ben che minimo sospetto di una qualsiasi notizia, magari indiretta, che il grande collaboratore e segretario di Oliviero Cronwell, sebbene anch’esso autore di una Dottrina cristiana, abbia potuto avere dell’umile opera del buon prete skipetaro; come non credo affatto che ne l’abbia avuta lo Andireini, nella cui tragedia intolata Adamo, a gran torto, si è voluto vedere da qualcuno, non solo il germe, ma anche la tessitura, i caratteri e l’economia generale del poema inglese, che vide la luce più che un ventennio dopo di quella. Le sacre scritture costituiscono la fonte comune alla quele attinsero i loro argomenti il Budi, l’Andreini, il Milton, il Klopstock e quanti altri, prima e poi, cantarono, con vario ingegno e con ben diversa ispirazione poetica, la caduta dell’uomo e la sua redenzione; quantunque sia da notarsi che se in certi punti della maggiore opera del Milton, sebbene con gravi difficoltà, e forse più per malanimo che per altro, si potè desumere qualche prova della sua grande avversione per gli Stuardi, a miglior diritto nessuno vorrà negare che il più rigido ascetismo non riesce affatto a nascondere nei versi del Budi le sue aspirazioni politiche e nazionali, poiché è evidente che talora egli nel peccato e nel demonio adombra e maledice l’odiato Turco, oppressore della patria. Con tutto ciò non sono nè molti, nè grandi i pregi che adornano l’opera di cui si tratta, per quanto l’autore, non meno in questa che nelle altre in prosa, adoperi una