Della lingua albanese e della sua letteratura, ecc. 103 monianza che, preceduta da aspri rimproveri contro la ingratitudine degli Ebrei e contro la loro crudeltà, gli antichi Giusti, levatisi dalle tombe, rendono' ad essi circa la discesa del Redentore nel Limbo ed intorno alla liberazione di quanti erano rinchiusi in quell’oscura prigione sotterranea, in attesa del Messia; il quale debellò e disperse, in men che si dica, gli eserciti infernali, levatisi al comando di Lucifero per opporgli vigorosa resistenza. Dopo d’essersi intrattenuto alquanto sulle varie apparizioni di Gesù dopo la risurrezione, sulla sua ascensione in cielo, sulla venuta dello Spirito Santo, sulla predicazione e sui miracoli degli Apostoli, nonché sui tremendi castighi di Giuda, di Pilato e degli Ebrei, il poeta scioglie un inno di gloria a Dio e lo ringrazia della sua benignità immensa e lo supplica di illuminare la mente di lui, affinchè, per mezzo di un nuovo canto in lingua albanese, gradito al cielo, egli riesca a richiamare i peccatori connazionali sulla dritta via, anche coll’efficace aiuto della Vergine che, all’uopo, devotamente invoca, esponendo ad essa il deplorevole stato nel quale versano, fra le insidie ed i lacci del demonio, tutti gli Albanesi, ed egli stesso, che, pentito dei suoi falli e prostrato a terra, chiede perdono ed attende la grazia suprema di poter fruire, dopo morte, della visione beatifica in Paradiso. Finalmente raccomanda l’opera sua agli Albanesi cristiani, cui dà molti consigli affinchè stiano sempre lontani dal peccato, ed esclamando col Profeta « Lau~ (hibo nomea Dei cum cantico et magnificabo eum in laude » rende grazie a Dio d’avergli prestato il necessario aiuto per recare a fine il libro. Non già perchè mi sembri lecito riferirsi alle sublimi cose allorché si tratta di altre abbastanza piccole,