114 Giuseppe Schirò lo svolge; sia per il volume che occupa; poiché comprende ben 22 lunghi canti in versi ottonari, disposti in quartine a rime alternate, come quelle del Budi. Non v’ha quasi albanese tosco il quale non sappia a memoria qualche brano di questo poema, che se non è per nulla privo di mende assai gravi, dal punto di vista artistico, pure ha il pregio incalcolabile di una rara purezza di lingua e specialmente di una singolare semplicità di locuzione, che, non iscompagnata talora da una specie di impeto lirico, fa sì che il canto assuma una fisonomía quasi affatto popolaresca. Fra le pubblicazioni secondarie di Naim Bei mi sembra degna di menzione quella che porta il titolo di Fletòre e Bektashìnjet, pubblicata nel 1896, nella quale si espone in breve la dottrina dei Bektaskì, cioè di quella specie di religiosi regolari definiti quali francomuratori, avversi al califfato ereditario, increduti e sprezzàtori delle cerimonie, dei digiuni e dei simboli dell’IsIam; i quali sostengono che Dio è l’Universo; che ogni uomo ha Dio dentro di sè; che la materia è eterna, non avendo essa avuto mai alcun principio; e la cui morale consiste nel godere onestamente, senza nuocere ad alcuno; nell’esercitare la più larga ospitalità nei loro conventi; nell’amare la patria sovra ogni cosa; nel propagare la cultura nazionale e nel ritenere fratelli tutti gli uomini, a qualunque razza, condizione e religione essi appartengano, purché siano miti e virtuosi. Najm Bej si adoperò a tutt’uomo per attirare a queste dottrine e per affiliare all’Ordine dèi Bektashì gli Albanesi musulmani, a fine di distaccarli moralmente dai Turchi e per rendere definitiva ed irremediabile la loro separazione politica dagli antichi e crudeli oppressori. Ora, poiché non conviene dir verbo su gli scrittori albanesi viventi, fra i quali v’è pur qualcuno che fa-