Della lingua albanese e della sua letteratura, ecc. 87 Romanum, Fidem Catholicam et Italiani ab impugnato-ribus et hostibus, te duce, te rectore, protegerem liberar emque ». Lascio che altri si assuma il compito di ricavare da queste parole e da tutti i principali atti della vita di lui non esclusa la cessione dell’Albania al re delle dùe Sicilie se Giorgio Castriota, che sovra ogni altro libro prediligeva i Commentari di Giulio Cesare, e che morente affidava il figlio alla tutela della Repubblica di S. Marco, fosse anche egli un latino di Venezia, o di Napoli, ovvero di Roma ; e mi limito a dire che non meno latini di lui e del Franco e del Barlezio, furono tanto il suo anonimo biografo connazionale, che pubblicò nel 1480 a Venezia la sua opera, riesumata nel 1756 dal bresciano Giovan Maria Biemmi; quanto un altro scrittore albanese, cioè D. Francesco Bianco, eletto più tardi « Episcopus Sap-piensis et Sardarùensis » il quale scrisse in latino un libro stampato a Venezia nel 1636 col titolo': « Georgius Castriotus suis et patriae restitutus ». Il nome di quest’ultimo illustre e venerando prelato mi induce a dimostrare come da non molto breve tempo siasi tentato in Albania di scrivere la lingua albanese e per fino di adoperarla in qualche luogo, almeno in certe occasioni, per uso liturgico, sì da render giustizia a quelli che tuttavia si sforzano, e non certo per fini men che patriottici, a far sorgere ivi una chiesa nazionale, che riesca ad accogliere nel suo grembo tutti i cristiani, e che valga ad attrare i musulmani, ormai disillusi dalla invincibilità del Dio dei Turchi, anche col fascino del nativo idioma. Io spero in altra occasione di poter provare all’evidenza che la lingua albanese già scrivevasi fin dal VI secolo avanti Cristo, e di poter offrire alla scienza un contributo del tutto nuovo e tale da diradare le tenebre che