220 Carlo Tagliavini sposa e la conducono in chiesa, seguiti dallo sposo e da tutti i parenti. L’aspetto fonetico della parola e il senso assunto (anche di « cognato ») propende a far ritenere che si tratti qui di un prestito della forma ikavica corrispondente al croato d j è v e r « 1° der Schwager (des Ehemannes Bruder), 2° der Brautführer » (Ivekovic-Broz I, 219), ma non è da escludersi che la voce sia penetrata già prima, da un dialetto serbo nelle regioni ai confini meridionali del Montenegro, da cui provenivano i nostri albanesi, giacché nel ghego settentrionale si ha appunto dever « giovanetto che accompagna la sposa nel giorno delle nozze tirando per la briglia il cavallo da essa montato » (Bashkimi, 85) già registrato a suo tempo come elemento slavo dal Miklosich AF. I, 18. Il nome e l’uso sono prettamente slavi (cfr. Berneker S1EW, I, 198). A proposito di questa voce croata djever cade acconcio rettificare qui un grave errore in cui è caduto il Weigand. A pag. 238 della sua monografia sul dialetto di Borgo Erizzo, egli registra la voce vier-i « Schwiegervater », vier-a « Schwiegermutter » e la spiega « statt dvier aus kroat. diver, djever ». A parte il mutamento semantico, che sarebbe inspiegabile, e a parte la difficoltà formale, il Weigand non si è accorto di avere a che fare qui con una voce perfettamente albanese di origine indoeuropea, e cioè con vjer, vjeher (pel cui etimo cfr. Meyer, EW, 475; Jokl, Unt. 50, Gr.-alb. St. 82; Walde-Pokorny, II, 522); tanto l’alternanza r-r, quanto la caduta di h sono comuni nei dialetti gheghi settentrionali (per Giacova abbiamo vjera « Schwiegermutter », Arbanas, 125, in luogo del comune viehrra, Bashkimi, 492). La cognata è detta zav-a