138 Giuseppe Castelletti gli attraverso un continuo disprezzo impossibile la vita nel gruppo, la vittima ricorreva ugualmente alla vendetta. Ma siccome il derubato era stato già soddisfatto con la restituzione dei beni toltigli, egli non aveva più diritto di reagire, e tale reazione sembrava sopratutto offensiva all’ordine costituito del gruppo che bandiva dal suo seno l’omicida, liberandolo alla vendetta dei parenti del rapinatore ucciso. E’ evidente che tutto ciò provocava uno stato di disordine nel gruppo, e ben spesso gli anziani intervenivano a prevenirlo consigliando il derubato che voleva reagire a non procedere alla vendetta. Talvolta il loro intervento dava dei buoni frutti ma più spesso avveniva che l’individuo per sfuggire alla propria sofferenza morale e al disagio, provocato dalla disapprovazione sociale, si decideva piuttosto alla vendetta attirando su di se nuove vendette e preparando pericoli alla sua sana compagine dell’intero gruppo (1). Tali forme di reazioni violente, causate sopratutto da un profondo senso d’onore e dalla potente spinta morale dell’opinione dei consociati, hanno continuato a manifestarsi in tempi ancora prossimi ai nostri, anzi conosciamo dei casi propri dei nostri giorni a proposito dei casi suddetti. Nell’animo del montanaro ancora oggi si produce un contrasto vivissimo tra quella che è l’influenza dei nuovissimi sistemi di giustizia che uniti ad un nuovo e migliorato orientamento morale, vorrebbero allontanarlo dalla vendetta, e l’influenza della tradizione e dell’opinione sociale che richiede che un vero (1) Quello che si è detto per la rapina può anche dirsi per i furti con iscasso nei quali questo ultimo fatto, suonando offesa alla libertà della famiglia, dava al reato il carattere di attentato all’onore più che di attentato alla proprietà.