74 P. Fulvio Cordignano chi, nella famiglia o nella fratellanza, non crede poter ammettere una simile riparazione, persegue ancora la vendetta per conto suo, per semplice punto di onore. Insomma ciò che più ferisce l’animo di un albanese nel caso di una uccisione, è che l’omicida con quell’atto ha vilipeso la riputazione di una casa forte e onorata, alla quale sopra ogni altra cosa bada qualunque figlio genuino della montagna. Chi mi uccide un congiunto e soprattutto uno che perseguitato da altri fu ammesso sotto la mia « besa » o protezione e però si chiama amico quasi per antonomasia, mi reputa per ciò stesso a sè inferiore, e non c’è altro mezzo di provare al pubblico il contrario, che col riprendere il sangue, e quanto più uno è riputato nella famiglia dell’uccisore, tanto più è ricercato dalla vendetta: è l’unico modo di riacquistare il credito, quel credito che se non c’è, tutto manca e tutto vacilla intorno alla vita e ai beni del montanaro. Le riparazioni in danaro stabilite esse pure dalla legge, sono state imposte da motivi di ordine sociale e non sono sicure, se prima il credito pubblico non è riacquistato, se non si è ottenuta ima soddisfazione morale col fatto che si mostra di cedere piuttosto alle intercessioni degli amici e all’autorità dei garanti che al compenso economico. Questo è sempre di second’ordine per quanto la famiglia sia finanziaria-mente bisognosa. Questi criteri capitali ci fanno comprendere anche l’aspetto morale dei gravissimo problema posto davanti al sociologo, allo statista e al moralista dalla legge del sangue. Bisogna avvertire che una tal legge non solo è nella pratica e nella coscienza di tutti da tempo immemorabile, ma è sancita dalla legislazione, di cui forma una dei capitoli fondamentali, e fu sempre approvata dalla legittima autorità. Per ciò non solo non era considerata come ima sorgente di delitti, ma come ima mi-