372 sfera, nella quale i sudditi impiegavano le maggiori fortune, da Occidente a Oriente. La vigile assistenza contro gli arbitri legali stranieri, più insidiosi e fatali della guerriglia del corsaro, era venuta meno. Occorreva ristabilirla per non distruggere la grandezza della nazione. A Venezia, i Veneziani con opera tenace avevano di fatto conquistato e assicurato il dominio dell’Adriatico, più e meglio di quanto non avessero fatto gli Amalfitani per la loro patria nel Tirreno. Favoriti dalla posizione naturale, verso il loro meraviglioso emporio avevano divertito le ordinarie linee di traffico e di scambio dalla terraferma ai porti d’Oriente. Uomini e cose, diretti dall’occidente agli scali d’oltremare, trovavano ai lidi veneti ospitale e preferito imbarco, e nei Veneziani ravvisavano i più industri vettori per i viaggi trasmarini, dall’estuario e dai porti adriatici. Il vescovo pavese Liutprando è buon testimonio (1). A Costantinopoli con i propri occhi aveva potuto ammirare l’ampio sviluppo di traffico dei Veneziani e degli Amalfitani, arbitri degli scambi con l’Occidente. Per amara esperienza aveva anche potuto riflettere sopra le difficoltà, che ostacolavano e insidiavano il tenace lavoro di questi artefici di ricchezza, costretti a fronteggiare l’opprimente fiscalità orientale con l’astuzia e con la corruzione. Il dialogo, poco garbato, tra il bizzarro prelato lombardo, non troppo munifico, e l’arcigno doganiere bizantino, insolitamente scrupoloso a causa dell’ avarizia del suo interlocutore, è l’esatta immagine del momento. Severi divieti interdicevano di esportare questo o quel prodotto dalle piazze costantinopolitane, e non per singolare affezione di vanità, come pretendeva l’arrogante funzionario, sequestrando nell’adempimento del suo dovere i drappi di seta scoperti entro il bagaglio episcopale, ma per stretta necessità economica. A tutela del mercato nazionale era stata limitata l’esportazione di manufatti fino alla concorrenza di corrispettiva importazione di materie prime o di generi alimentari. I mercanti, abili e provetti nell’arte di eludere i rigori della legge, riuscivano a passare inosservati con quantità di merci superiori a quelle perdesse. A prezzo di buona moneta guadagnavano (1) Lhjtprandi, Relatio de legalione Constantinopolitana, in M. G. H., Script., Ili, 350, 357, 359 ; AntopocLosis, VI, 6, ivi, III, 337 sg..