260 Le vedute di Costantinopoli di Cristoforo Buondelmonti E mentre nella classificazione dei codici della redazione minore a seconda del testo abbiamo trovato da raggruppare il Laurenziano col Fiorentino II. II. 312 per un verso, il Rossiano 702, il Marciano XIV, 25 ed i due Parigini 4825 e 2383 per l’altro, lo studio dei disegni ci aveva consigliato di contemplare il Rossiano in una categoria a sè, ben diversa da quella del Marciano e dei Parigini, ma da unirsi invece col codice Classense della redazione maggiore, e ci aveva permesso bensì di includere in un secondo gruppo gli altri cinque codici, a patto però di suddividerlo in due categorie, ove il Marciano figura ben distinto dai due Parigini. Di guisa che soltanto l’accostamento del Laurenziano col codice della Nazionale fiorentina e quello dei due Parigini trova riscontro così nel testo come nel disegno : il che si spiega del resto più agevolmente quando si ponga mente al fatto che — come si è veduto — - in quei due manoscritti di Parigi la pianta è della stessa mano del trascrittore del codice. * * * La conclusione della presente ricerca si può riassumere in breve. Soltanto in limitati casi e sopra tutto quando la veduta di Costantinopoli sia della stessa mano del trascrittore del codice, è a ritenersi che quella pianta costituisca unità di origine co! testo del rispettivo manoscritto. Ma per lo più quel disegno ha una fonte diversa da quella del testo medesimo : fonte che tanto può ricercarsi in altri codici illustrati dell’isolario del Buondelmonti, quanto in altre opere geografiche del tempo, che — come è il caso del disegno del Tolomeo Urbinate — fossero in stretto rapporto — talvolta come prototipi, tal altra come derivati — con quei manoscritti Buondelmontiani. In altre parole, chi voglia rendersi conto della attendibilità delle piante di Costantinopoli contenute nei vari manoscritti dell’Isolario, deve prescindere per lo più dai Ipro rapporti coi rispettivi dettati, e studiarle indipendentemente da essi nei reciproci rapporti di dipendenza e di interferenza dei disegni fra loro. Il problema della restituzione del testo Buondelmontiano è già grave di per sè, dicevamo, sia in considerazione della mancanza dell’autografo o dei codici ad esso vicini, sia in vista della pluralità di redazioni, riduzioni e traduzioni del dettato, e della molteplicità delle varianti non di rado travisate o spropositate. E che così fosse del resto, è facile arguire, quando si pensi alla grande diffusione che l’opera — scritta a Rodi da un fiorentino e destinata ad un cardinale romano — dovette ottenere fin dal principio, sopra tutto in Italia ed in Oriente, dove già nel 1428 — a sei anni dal termine del lavoro — è documentata la copia fatta eseguire a Scio (attualmente alla Biblioteca di Holkham), mentre un altro apografo (ora alla Marciana) mostra rapporti col granduca Vitoldo di Lituania, morto nel 1430; e d’altra parte è fuori dubbio che i singoli trascrittori e disegnatori nazionali, sopra tutto veneziani e genovesi, non seppero resistere alla tentazione non soltanto di conformare la lingua ed i nomi alle proprie tendenze dialettali, ma altresì di accentuare