Per l’Epistolario di Demetrio Cidone. 219 le vele e raccoglier le sarte », e, in Demetrio, quella stanchezza sconfortata, per cui negli ultimi 25 anni rifuggiva dalla corte e dalla vita pubblica, e vi partecipava solo per obbedienza e amor patrio, con uno sforzo di buona volontà. Perciò metterei la lettera fra P80 e il 90 del secolo XIV (come forse l’altra di simile conclusione, di cui nel § 9 d) e non già col Cammelli, fra il 1347 e 1349. Che nel 1347 0 48, al giovane, a mala pena ottenuto l’impiego in corte e rimpannucciatosi, sia venuto in mente di far il lungo viaggio da Costantinopoli a Venezia per il puro piacere d’incontrarsi con un amico, non sembra verosimile. Quanto alla peste, non c’è purtroppo! che da scegliere, tante furono dopo quella del 1348, come si dirà nel § 10. 9) E ora un’ occhiata alle altre lettere del Cidone al Calofero, non tanto per notarvi passi che attestando con espressioni simili (') l’in imita dei due, i viaggi continui di Giovanni e le sue fortune, confermino ad abbondanza il detto, quanto per assegnarle a data più conveniente, e talvolta spiegarne le allusioni, coll’aiuto delle notizie raccolte sopra da documenti contemporanei di data incontrastabile, all’infuori totalmente dall’epistolario Cidoniano. Ricordiamole nell’ordine probabile del tempo. a) La lettera Tà ^.sv jreQiatdvTa (5a ed. Boissonade, p. 265-270; nell’indice del Cammelli n. 48, p. 142), come s’è visto sopra, è posteriore al 1354, forse anche al 1360, e l’imperatore di cui si riferiscono !e ire non è il Cantacuzeno ma Giovanni V Paleologo, benché la causa principale della disgrazia, accennata nella lettera con parole non ambigue ma non intese, che le lettere pontificie spiegano chiaramente, cioè il matrimonio con una Maria Cantacuzena, sua nipote, e quindi figlia di qualche figlio 0 figlia dell’ex imperatore Giovanni Cantacuzeno, ci avrebbe fatto pensare naturalmente a questi, se il solo nome della sposa ci fosse stato tramandato. Al tempo stesso della fuga del Calofero è da riportare una malattia gravissima di Demetrio, forse quella di cui parla nello scritto X0ès ngò tcòv axtivcov, da cui risulta che allora erano ancora vivi, e lontano da lui, la madre e i fratelli (2). (!) Le ripetizioni in lettere allo stesso amico scritte a distanza d’anni sono più che naturali, e quando siano non di concetti o sentimenti affatto comuni, nè di cose che si attagliano a molti, non che contrastare 0 rendere sospetta l’identità del destinatario, piuttosto la insinuano e confermano. (2) iaed. BOISSONADE, pp. 251-259. Non è una lettera, dice il Cammelli, p. XXXVI, n. 2. Racconto di una passeggiata quanto mai patetica, fatta il primo dell’anno (i° settembre). Ripetuti accenni ai suoi, ooov [lèv y.oóvov èoxeqtiOuv x% (ir)XQÒi; àQi0[iwv, ocrov Sè tcòv àSEtaptòv àjtécxr)v (p. 25 i ). TtÓTE 8’av 3tQoos8ó"/T|v xf|s (xt)xqò? x8l9®'v yML T“v oipEco?, '/mi Xóycov xoi |3ifUia>v mi XÒW Siti XOlJXOt? JTOVCOV àvagroxaOEÌ?, óqò> pièv Ha0’ f|jxé{>av xàg oi^ei; xmv itotapiifov, óqw 5è xwv odyyevwv to-ù; [lèv duravonévovg, XOÌ15 5è acpaxxopiévoug... y\ xe hiÌttÌQ ° Tt ttpàxxco Ol”0’ o xi ¡jiÀXa) Suvaxoi Yvròvai, roxvxcov jiqóteqov xrjv È|ir)v jiqoxi0eì