206 Per l’Epistolario di Demetrio Cidone. qualità di quella legge come segue, ad es.: ori piaio?..., ori ataxto?, ori JtOVl]pÓ$ ('). Conseguentemente è prematurala data “ ca. 1354”, avendo il Cidone sulla fine di detto anno appena finito la versione della « Somma contro i Gentili » di di S. Tommaso, che fu il primo lavoro suo di traduttore. 3) Lettera 17 (p. 39 sgg.): « Anepigrapha... 1369-1376. Contra ecclesiasticum quemdam, qui Prochori fratris memoriam violaverat eiusque doctrinas vituperaverat, quem Patriarcham Philotheum esse censeo plurimis de causis. Quo anno Pro-chorus Cydonis frater mortuus sit non liquet, sed anno 1369 adhuc in vita Prochorum fuisse ex superiore epistula constat, anno autem 1376, qui Philothei patriarchatui finem imponit, iam Prochorum decessisse aliunde quoque apparet: anno 1369 vel 1370 mors eius tribuenda videtur ». Che «il fratello» a cui è diretta la lettera 16 (2) fosse veramente Procoro, io dubito, per la ragione che la lettera 15, a Giovanni Cantacuzeno, assegnata dal Cammelli all’anno 1368, (e da me alla fine dello stesso anno 0 alla prima metà del seguente) pare accenni a Procoro come ad un morto (dSeXqpò? rjv ó IIQÓX0905, lin. 40). Ma lasciamo andare questo, e lasciamo pure andare che ponendosi la morte di Procoro nell’anno 1370 al più tardi, si sarebbe dovuto restringere d’assai la data della lettera 17, scritta quando era tuttora recente la (‘) Patrol.gr., CLIV, 1041. Annoto qui d’occasione, che l’opera di S. Agostino inviata dal Cidone all’imperatrice con la lettera 12 (pp. 27-29) fu, certamente o quasi, quella intitolata « Sententiae ex Augustine delibatae » da Prospero (Patrol. lat., LI, 427-496Ì, come si può argomentare dal passo, nel quale scusa i difetti della versione con la mancanza di un codice chiaramente scritto e di qualche persona che l’aiutasse nelle difficoltà, où yòg noXXà xà 'Pco-jiaifov yndimara nag’ f|[itv, xaì ó0ev xaùxa ùveXeyófiT]v acarpo)? te syéyQairxo, xaì uavcenó-jif.vov (jà?.).ov èfifi xwv Yv £Q(xi'|vei'Oévxa 8ioo0có(jaafiai' èv ito/J.où; yào rjaav ÈfpOaouÉva xà nonia'ir.à yod|uiaxa. o0ev xryv xoO piaxagiou xouxo'u Siàvoiav àvaXapi-pavovxa? éxpijv e oliti ve ó E iv (Notizie di Procp. 162). Vi è dunque una ragione per l’interpretazione proposta; la quale diventerà non di più probabile che un’altra, sol quando si trovi che Demetrio abbia mosso un simile lamento a proposito di altra sua traduzione di opere, 0 vere 0 presunte, di S. Agostino. (a) Se pure nei codici B O, del secolo XV, non fu posto male xà aùxcì) (vale a dire in essi x A^sX(fò>) ad una lettera che nell’archetipo succedeva a lettera d’indirizzo diverso, come si dimostrerà a p. 724 s. male posto in capo alla lettera Tà |jèv JtEQiaxdvxa oe (ed. BOIS-SONADE, Anecdota noviss., 265-270), diretta ad un Calofero diverso dal destinatario della lettera precedente. (Un altro errore di O nell’indirizzo v. a p. 47, lett. 21, dove B non lo ha). Simile sbaglio, come è noto, più volte fu commesso nelle copie delle catene esegetiche e dei florilegi, producendo confusioni non lievi nella tradizione degli estratti degli autori. Nella lettera stessa, che è ad una persona di vita religiosa (lin. 53), probabilmente ad un monaco, non veggo nulla che la dimostri diretta ad un fratello carnale.