ìl viaggio di Giovanni V Paleologo ;n Italia e l’unione di Roma. 155 peratrice aveva promesso di lasciare per sempre al delegato papale e al suo seguito un grande edificio per abitazione (òajrrjnov n.éya) come pure una magnifica chiesa, dove il delegato ed i cattolici venuti con lui avrebbero potuto compiere le funzioni religiose. Inoltre l'imperatore avrebbe dato al suo figlio primogenito (Andronico) un maestro latino (SiòdcntaXov Àcalvov) per i ’insegnamento della lingua latina sotto la sorveglianza del legato. L’imperatore avrebbe tre grandi appartamenti per le scuole di iingua latina, dove i bambini dei nobili e benestanti romei sarebbero andati a studiare la lingua latina. Nel caso in cui l’imperatore non avesse potuto mante nere le promesse, egli si sarebbe considerato indegno del potere imperiale, avrebbe abdicato e trasmesso ii regno al figlio sunnominato, passando allora al papa, nello stesso tempo, i diritti paterni ; inoltre ii papa stesso dentro il termine fissato dalla legge avrebbe potuto dare al figlio dell’imperatore moglie, precettori e tutori, e comandare nell’impero come in paese proprio, in nome dei figlio sunnominato. Con queste parole l’imperatore rinuncia ancora una volta ai diritti del suo potere paterno sul figlio e lo sottomette al papa in base all’adozione del papa. Se dovesse accadere che all’arrivo delle navi papali a Costantinopoli, l’imperatore non desse loro il figlio per mandarlo dal papa, egli, rispondendo con i propri beni e i beni di tutti i romei, permetterà al papa ed ai suoi uomini di esigere per ogni nave il compenso di 4.000 fiorini « in ogni luogo e da ogni governatore laico o ecclesiastico a Galata, a Rodi, a Chio, a Cipro e in tutti gli altri luoghi senza far attenzione a qualsiasi protesta. Nei caso invece che eseguirà le promesse, l’imperatore chiede al papa una sufficiente quantità di truppe per lottare contro gli infedeli e i! pagamento del soido», « perchè il mio regno adesso non può essere sottoposto a grandi spese » ; alla testa delle truppe si sarebbe messo lo stesso imperatore. Nel caso di adempimento delle promesse da parte dell’imperatore il papa, con i dovuti onori, gli dovrà restituire il figlio avuto in ostaggio. Se tuttavia l’imperatore non potrà adempiere ciò che ha promesso in seguito a privazione de! potere, e non per cattiva volontà, egli stesso si recherà dal papa a chiedergli aiuto, perchè gli sia restituito di nuovo il regno perduto. Questa « crisobolla giurata » munita delle lettere rosse dell’imperatore e suggellata col suggello d’oro fu data nel palazzo di Blacherne il 15 dicembre 1355. Nello stesso anno 1355 l’imperatore promise anche all’a noi noto arcivescovo Paolo di sottomettersi alla chiesa romana. In questa occasione il papa mandò all’imperatore una lettera di saiuto nella quale egli cercava di convincere l’imperatore di rimanere fermo nei suoi propositi (1). Il medesimo papa nel 1359 allestì una piccola flotta con il suo delegato in capo Pietro Toma, il quale si recò a Costantinopoli in aiuto dell’imperatore e, trovatolo in guerra coi turchi, l’appoggiò e da principio ebbe anche un certo successo presse Lampsaco. Questa crociata che veramente non portò nessun risultato considerevole, non è in generale notata dagli storici (2). (1) Bulìanum Franciscanum. t. VI. Ed. a C. ' Euwì!., Romae, 1902, N. 700, p. 207 (qui la breve esposizione della lettera). La lettera completa vedi in Wadding, Annales minorum ad a. 1356. Vedi J. Gay, Le pape Clément VI et les affaires d’Orimi (1342-1352), Paris, 1904, p. 167 _ (2) Le notizie su questa crociata sono raccolte da Jorga, Philippe de Mésières, p. 130-141.