208 Per i.’Epistolario di Demetrio Cidone. e da ladroni infestanti lo Stato della Chiesa allora tutto sottosopra ('); il ritorno in patria dove ha trovato le cose presso che disperate per le violenze e le esazioni dei Barbari (i Turchi), per le discordie degli imperatori costretti a seguirli ed aiutarli nella conquista delle città della Frigia e del Ponto, e per le ambizioni e contese dei primari cittadini ; finalmente il proprio desiderio d’andarsene, attesa l’inutilità della propria permanenza, e d’andarsene o presso l’amico o presso il despota in Morea. La data e la coerente identificazione degl’ imperatori, che sarebbero Giovanni V Paleologo e Giovanni VI Cantacuzeno, mi sembrano errate per le ragioni seguenti. Non è molto verisimile che nel 1353 Demetrio, ministro di fiducia di Giovanni VI, occupatissimo a ricevere le persone e le suppliche, le quali solo per lui giungevano al sovrano, e non ancora convertitosi, abbia pensato ad obbligarsi a quel lunghissimo viaggio e potuto intraprenderlo per un motivo religioso semplicemente personale: meno ancora si capiscono quelle grandi accoglienze da tutti in Venezia, (2) e segnatamente da un cardinale legato che lo trattò come un figlio e con la massima stima (3), giacché Demetrio era ancora agl’inizii della propria fortuna dopo la ruina della famiglia, e tuttora aderente alla Chiesa scismatica, sebbene non sicuro delle dottrine che essa sosteneva accanitamente contro la Chiesa Occidentale con ragioni poco soddisfacenti a Demetrio. Senza dubbio quel voto e quelle accoglienze lietissime si spiegano incomparabilmente meglio dopo la conversione ed unione di Demetrio alla Chiesa di Roma, dopo le grandi prove di zelo per ridurre all’ unione i compatrioti e difendere le dottrine proprie della Chiesa Latina, e segnatamente in un ritorno in Italia, dopo il lungo soggiorno del 1369 e 1370 a Roma e a Venezia, dopo la parte cospicua che egli ebbe nell’atto della professione di fede di Giovanni Paleologo e le conseguenti profferte ed insistenze del papa e dei cardinali per trattenerlo a Roma. (') La descrizione è paurosa: elvai yàn tryv è? 'Pcó|J/r|V óòòv txoXXwv xe, tuxeqcòv avverai xaì ?.iiatojv xaì xvpdwcov xaì xcòv ngòg àì./.-q'Lovq nota|ìovvxcdv (i£arr|V... ’AnESeinvuoav 8è xaì noXkovi; xcòv 8ià xfjt; ’IxaMa? ófioiJtonouvxcav, xovq |xèv xàcpóSia néxO1 xat T(»v xuo)_ vioxcov àrpticniiévou?, wùg 8è xai crcpefUioftÉvras xai xcòv àvavxaioxàxcov |X£?.o)v evia itEQi-xexon(iÉvou? àyayv.aCec:\kii xò taicpfrèv xoù am\ut.xoq xcòv Knoiaou ftrjcjauQorv èìjmvEÌcrOai, xivàg 8è xaì jujòq xà? fiaadvoti? xavxaq oiix àvxiaxóvxag avxaìq èva.*Tof)avetv (p. 14-15 ; e cf. p. 10 s.). (2) xai àitopàvxes EÙvoia? xe xai xi(i% év xavxr| minò, jtàvxcov xoiv aùxóih xuxóvxec, Sai}? volitai ¡ir|5’ &v xiva xcòv àyav cpiXoxijuov 'Crixf|aai... oi 8’ év xfj Bevexicj cpiXoi ecc. (p. 14). (8) Nella lettera al despota, probabilmente perchè avverso all’ unione, non accenna al cardinale (corr. p. 9) e al papa, penso che di proposito: nell’altra invece, che deve essere diretta ad un greco unito, anzi ad un monaco, ha queste parole che ci servirà e ci piace riferire: Éxuxs yàg xóxs minò, xov Udita TtEjitpitòc xcòv jieqì xryv Bsvsxiav jiÓ/.ecov xai xfj? 5.\}.r\q Tiepi-oixi8og avxoxodxcoQ 8ioixr)xri5, àvriQ jtXsujxa (lèv Xóycov xai xfj; g|oj JiaiSs-uaecoq émaxa^isvos, jioXM|V 8è xai xr)v xcòv Oeìcdv yvcòctv m)VEi/.ox