Le vedute di Costantinopoli di Cristoforo Buondelmonti 263 Ma tale indicazione è contenuta anche nei codici della redazione minore : prova evidente che quel primo tentativo non può identificarsi colla redazione ristretta, ma riguarda un testo rudimentale, che non è pervenuto sino a noi, e che rappresenta un primo schema, anteriore all’isolario definitivo e — tanto più — alla ulteriore abbreviazione di quest’ultimo. Ed è pur vero che anche il testo compendioso racchiude il nome dell’autore nell'ultimo capitolo, mentre le iniziali dei capitoli stessi tanto qui come nella descrizione più ampia formano il noto acrostico Cristoforus Bondelmonti de Florencia presbiter nunc misit cardinali Jordano de Ursinis 1420 (1). Ma poiché evidentemente il cardinale Giordano (oltre a quel primo abbozzo di cui dicevamo) nel 1422 (2) ebbe in dono soltanto la redazione più ampia, la ripetizione della dedica nella redazione ristretta non ha senso; e quindi anche la sottoscrizione dell’autore può considerarsi alla stregua di un relitto, voluto lasciare dall’abbreviatore, chiunque costui fosse. In altre parole nessun criterio esterno ci obbliga a considerare il Buondelmonti come autore del testo abbreviato. Ma anche negandogli tale paternità è egualmente possibile di giustificare la constatazione fatta più addietro. A parte infatti la considerazione che quel transunto poteva altrettanto bene essere compilato da qualsiasi altro contemporaneo che ben conoscesse le particolarità di Costantinopoli, una diversa spiegazione si può avanzare in via di ipotesi, almeno per taluno di quei brani. Chi ben consideri i tre testi della redazione maggiore, noterà facilmente come essi, qual più qual meno, omettano vicendevolmente qualche parola o qualche brano, che, se in alcuni casi può essere dimenticato per semplice svista, altre volte è certo tralasciato con intenzione. Ciò dimostra nei copisti una certa indipendenza, che, se qui si tradisce nel togliere, in altri casi — come abbiamo veduto a proposito di certe giunte eterogenee dei codici Marciano XIV. 25 e Parigino 2383 — si manifesta invece nell’aggiungere. Nulla vieta che il testo primitivo e genuino della redazione maggiore contenesse alcune frasi ed alcuni brani venuti a mancare — in causa di tale tendenza eliminatoria da parte dei trascrittori — negli unici manoscritti arrivati fino a noi; e che tali complementi siano rispecchiati nella redazione minore, la quale sarebbe stata originariamente condotta sul testo ancora integro. Qualora tale ipotesi avesse a rispondere, sia pur parzialmente, alla verità, è ovvio che l’edizione critica della descrizione più vasta dell’/sobrio dovrebbe tener conto, nella reintegrazione del testo, anche delle lezioni della redazione minore. (1) Curioso come il copista del testo maggiore quale ci è dato dal codice Marciano, non si sia accorto di ciò, e, tramutando l’inizio del capitolo colla lettera Q (quamvis), anziché colla D (devenientes), abbia spezzata la catena dell’acrostico. (2) La data dell’invio ci è testimoniata dal titolo premesso a parecchi codici sia della redazione maggiore come della minore. Non c’è ragione di dubitare, come fa il Legrand, della sua autenticità. L’isolario, compilato fin dal 1420, molto verosimilmente fu trascritto in bella copia e munito di carte soltanto due anni dopo, cosi da poter essere spedito asl destinatario.