Materiali lessicali e folkloristici Greco-Otrantini 111 vagliava e discuteva nello studio delle raccolte del Morosi e del Pellegrini, nella frequente affettuosa conversazione col Palumbo, e che egli comunicava, forniva gentilmente agli studiosi che gliene domandassero: fra questi in particolare al prof. Rohlfs, il valoroso romanologo che, venendo nel Salento, non mancava mai di cercarvi il Lefons e di farlo « cantare », in tutti i sensi e in tutti i toni. Così egli disegnò e raccolse a lungo il suo Lessico greco-otrantino di Calimera, che oggi, per mia cura amichevole e riconoscente, per autorevole cooperazione del prof. G. S. Mercati dell’ Università di Roma, vede finalmente la luce. Registrava i termini, via via che gli venivano alla memoria, o li coglieva vivi sulle bocche dei parlanti, o li incontrava nelle letture dei precedenti raccoglitori e illustratori: li fissava ciascuno su piccole schede di carta che disponeva poi in ordine alfabetico, notando di ognuna il preciso significato, la etimologia sicura o probabile nella forma del greco classico o medievale o moderno, talora anche le varianti locali dei prossimi villaggi, nell’isolotto idiomatico greco-otrantino, specialmente di Zollino e di Sternatia. Da ultimo aveva tutto trascritto calligraficamente sopra un grosso quaderno, che ha servito di base alia presente postuma pubblicazione. 11 nostro Pasquale, come dicevamo, amava le recitazioni, le letture a voce alta, le rappresentazioni filodrammatiche: era stato alunno carissimo al prof. Luigi Rasi; e pel Centenario di Paolo Toscanelli, rappresentandosi a Firenze il Pluto di Aristofane alla presenza dei Reali, il Lefons sostenne con plauso la parte del protagonista. Con passione, lietamente organizzava trattenimenti giovanili, fra i suoi alunni di Lecce, fra i giovanetti e le ragazze calimeresi, in carnevale, in occasioni di feste o per beneficenza. Amava ogni manifestazione d’arte, e dopo la grande guerra, per dare al dolore delle orbate famiglie calimeresi un’espressione durevole di grazia, per adornare il suo diletto villaggio d’un’opera bella, egli si fece iniziatore d’una sottoscrizione per un monumentino ai caduti; e si rivolse all’amico, scultore e conterraneo nostro illustre, il Bortone, per il bozzetto e relativa esecuzione. Rapido e talvolta quasi precipitoso nelle sue iniziative di carattere ricreativo o artistico, egli sollecitò lo scultore, ebbe la gioia di veder da lui plasmata e fusa la bella statua della Vittoria giovanetta, ma non potè raccogliere tutte le quote promessegli o fatte sperare, non potè sodisfare appieno e prontamente l’artista nè far sorgere il piccolo monumento vagheggiato; e questo fu uno dei più gravi dispiaceri della sua vita, mise negli ultimi anni un’ombra di tristezza e d’amarezza sul bruno suo viso di solito sorridente, nella sua parola di solito cosi giovanilmente gaia. Egli se ne rifaceva godendosi in ammirazione estatica la vaghissima giovinetta di bronzo, che aveva ricoverata nella sua casa paterna a Calimera, in attesa del piedistallo da cui doveva spiccare il volo ad ali aperte sul piede che tocca appena la terra. Ma essa sino a poche settimane addietro restava ancora laggiù aspettando, nella desolata casa, dove la custodi la vecchia Giacinta, la mamma quasi cieca di Pasquale, del suo diletto Pasquale, partito prima, partito solo per il suo, per il nostro comune eterno viaggio. La fine di lui, come dicemmo, venne a Lecce improvvisa e rapida: dopo pochi giorni di malattia, egli sentì, avvertì l’appello