350 <*>• ( tribunale formato da mons. vicario patriarcale con l’assistenza di Ire nobili deputati) deliberò che tutti « i libri condotti in Vene-» zia non potessero esser tratti di dogana, se prima non venivano » dai patroni di essi libri notificati in riguardo alla quantità e quali liti» al prelodato sacro tribunale, presso il quale dovevano rimali nere le notifiche per evitare le fraudi. » Con legge poi del consiglio dei X, il 19 marzo 1562, fu stabilito, che la revisione dei libri o censura, fosse assoggettata ai riformatori dello studio di Padova, i quali, veduti i certificali dei rispettivi censori e dell’ inquisitore, davano agli stampatori la relativa licenza, che doveasi inserire od al principio od al fine del-l’opera. Siccome però non bastarono tutte le leggi del consiglio dei X e dei pregadi a tener in freno gli abusi, che in materia si rilevante o la malizia o lo smodato interesse aveano introdotti, così il consiglio dei X, con legge 17 settembre 1566, stabilì, che in appresso tutte le ottenute licenze fossero senza spesa presentate e registrate in apposito libro da conservarsi nell’ uffizio ossia magistrato degli esecutori contro la bestemmia, confermando le pene, o pecu-niarie o personali, contro i violatori anteriormente già comminate. Al cadere della repubblica, i tre riformatori dello studio di Pa-pova erano : Marco Zeno cavaliere, Antonio Cappello, cavaliere e proc.., Francesco Pesaro, cavaliere e proc. Ed era inquisitore il M. R. P. Fr. Tommaso Mascheroni del-l’ordine de’ Predicatori del santo Uffizio. I censori e revisori poi non aveano luogo proprio, ma gli scritti e le opere da stamparsi o ristamparsi portavansi all’uffizio della santa inquisizione, cui spettava assegnarli all’ uno od all’ altro dei censori, i quali nella maggior parte erano ecclesiastici, e tutti eletti dal senato. All’ istante in cui cessò la veneta repubblica, erano delle censorie mansioni (oltre il p. inquisitore suindicato) incombenzati : 2. Il M. R. P. Fr. Pio Giuseppe Triva, commissario generale del santo Uffizio.