servire d’ alloggio a’ poveri che possono ottenerlo a seconda delle norme che regolano la loro concessione. Il 20 giugno 4357, dal maggior consiglio venne concesso a Bartolom-meo Dal Verde, trinitario, uno spazio di terreno per erìgere un ospizio a prò delle donne dissolute che volessero torsi dal continuare una vita infame. Esso durò qualche tempo ; ma per mancanza di redditi dovette cessare. Nel 1700, Giovanni Badoaro, cardinale patriarca di Venezia, rinnovò il tentativo, trovando in Rinaldo Bellini, prete dell’ oratorio, un compagno instancabile a far riuscire la progettata istituzione. Venne concesso ad alcune pie persone di unirsi per promovere 1’ attuamento di un simile scopo ; e questa corporazione, composta di sacerdoti, di nobili e di cittadini, radunò così subitamente le somme necessarie, che il 20 novembre 4705 potè prendere a pigione una casa a San Giobbe, ove anche oggidì si trova l’istituto, e poco dopo rinchiudervi ventiquattro donne, che erano state raccolte prima in una casa a Santa Marina. Non molto dopo la casa per le penitenti venne a soffrire per economici imbarazzi, ma fu ajutata dal governo veneto; finché nel 4725 ebbe in dono da Marina Priuli da Lezze dodici mila ducati, e nel 4790, per testamento di Marina Nani Donado, altri cento settanta mila. Alle ricoverate in questa casa nel 1807, si aggiunsero anche le altre accolte in quella eretta per iscopo analogo, e che aveva nome di pio luogo del soccorso, fondata nel 4577 da Veronica Franco, celebre a’suoi tempi per sorprendente bellezza e per perduta vita, e le rendite che ad essa appartenevano vi furono confuse. Le donne ricoverate in questo stabilimento devono essere state meretrici in Venezia, o almeno aver condotta tal vita che porti con sè l’infamia, non oltrepassare i quarant’ anni, nè averne meno di dodici; per ultimo, oltre minori circostanze, hanno ad essere misere. Siccome poi nel pio luogo del soccorso venivano accette anche le traviate, ma senza aver dato motivo a scandalo, le quali fossero disposte sinceramente a pentirsi, cosi alcune fra queste sono pure ammesse alla casa delle penitenti. Le ricoverate occupansi per turno nel disimpegno de’ servigi domestici per l’istituto, e in lavori per le biancherie, e per il vestiario che loro è uopo. Inoltre adempiono alle commissioni che vengono date al pio luogo, per lavori in bianco, per ricami e per altre femminili industrie. Il prezzo che se ne ricava viene compartito per metà all’ amministrazione, il quaranta per cento alle lavoratrici, ed il dieci per cento alle maestre che dirigono i lavori. Le ricoverate poi escono dal pio luogo maritandosi, o allogandosi in qualità di domestiche, o perchè ritornano a’ propri parenti. Se si maritano hanno una dote di lire settecento, essendo rimaste un quinquennio nel pio luogo, oppure trecento cinquanta se più di tre anni. Se escono, ma