-=3* 266 •*=- Fanatismo di religione, sete di dominio, fecero bentosto divampare la guerra tra Berec ed Ulagu ; lunga guerra ed ostinata, che, intercettando ogni comunicazione, tolse ai due veneziani la speranza di riedere alla patria sulle orme del cammino prima seguito. Determinati ad imprendere una via, benché assai più lunga, meno pericolosa, avanzarono fino al Jaxarte, da loro scambiato col Tigri, e tragittatolo vennero a Bocara. Dimoravano da tre armi in questa città, quando un messo che Ulagu spediva al fratello Cubilai, imperatore della China e dei Tartari, li sollecitò a seguirlo fino alla residenza del suo signore ; e, in un anno di faticoso viaggio, li accolse la corte del più polente monarca del mondo. Cubilai li ricevette coi segni di cordiale ospitalità, e incaricolli al loro ripatrio di un messaggio al pontefice. Stagioni procellose, acque inon-datrici, ostacoli d’ogni maniera si frapposero al loro viaggio, e solo dopo due anni pervennero ad Acri. Quivi intesero da Tebaldo di Piacenza, legato apostolico, che la sede romana era vacante per la morte di papa Clemente IV, sicché non potevano compiere fino all’elezione del nuovo pontefice la missione. Intanto, desiderosi di rivedere la loro famiglia, veleggiarono a Negroponte, indi a Venezia. La moglie di Nicolò Polo era morta, ma sopravviveva un fanciullo natogli dopo la partenza. Giovinetto di elevato spirito, bramò Marco di associarsi alle glorie ed ai pericoli del padre e dello zio. Continuando tuttora l’interregno della sede apostolica, stanchi del lungo indugio, i tre Polo salparono da Venezia per Acri, dove il legalo diede a loro lettere per Cubilai, che gli annunciavano come ai messi da lui spediti non era stato possibile di fornire la loro ambasciata. Quando essi vennero ad Aias, suonò novella che sullo stesso legato d’Acri era caduta la scelta del nuovo pontefice. Invitò Tebaldo i Polo che a lui ritornassero, e, sur una nave fatta allestire da Livone III re di Cilicia, rividero Acri. Lieto dell’occasione che se gli offeriva di poler estendere in terre barbare il nome di Cristo, incaricò il novello pontefice i Veneziani di portar suoi messaggi all’ imperatore mongolo.