2. — NATALE GRECO-SALENTINO. Sono tanti anni che non passo questi santi giorni laggiù, nella mia terra natale, che proprio non potrei assicurare se quanto conservo fedelmente e caramente nella memoria di quasi 50 anni fa, si ripeta ancor oggi e corrisponda all’uso ancor vivo del mio greco paesetto: tutto il rapido rimescolio degli ultimi decenni probabilmente avrà mutato e rimutato tante cose, piccole e grandi, anche laggiù! Ma per un verso, più distinti che mai restano i miei isolati ricordi d’infanzia; e per l’altro non sarà inutile, mi lusingo anzi non sgradito, di fissarli fuggevolmente qui per gli studiosi di «Folklore italiano»: quest’anno specialmente che il centenario ritorno del Foscolo rimette in luce agli occhi nostri stessi il valore culturale ed etnico delle colonie ancor superstiti italo-greco-salentine, minuscole ma — per chi non misuri tutto col metro — ancor preziose nel patrimonio spirituale della nazione. Il loro folklore, intima vita e sapienza popolare, è ben lontano dall’essere tutto raccolto, nonché illustrato e pubblicato; quando i nipoti ed eredi del nostro compianto ellenista e demopsicografo, V. D. Palumbo, ci faranno conoscere, ci faranno vedere almeno, la collezione completa, da lui lasciata manoscritta, del Folklore Calimerese ? Anche laggiù, come in quasi tutti gli ambienti popolari del nostro Mezzogiorno, per non dire d’altrove, queste sacre festività invernali di fin d’anno hanno un loro calendario speciale a base prevalentemente e quasi esclusivamente gastronomica 0 culinaria; la prima letizia è quasi sempre e da per tutto quella dello stomaco. Le specialità natalizie popolari in Terra d’Otranto consiston quasi tutte in fritture di farina di frumento, e sono di due specie 0 categorie: una più povera e rozza, l’altra più delicata e quasi di lusso. Costituiscono la prima categoria le così dette «pittule», pallottole più 0 meno grandi di semplice pasta cruda, fatte cadere nell’olio bollente che le cuoce, le indurisce e le indora: si mangiano asciutte e secche 0, secondo le possibilità, cosparse di un po’ di miele. Ovvero la farina s’intride, s’impasta a freddo con l’olio e con una certa quantità di zucchero, si stende a sfoglia, si taglia a nastri, che poi si spizzettano e segmentano in forme rettangolari 0 romboidali (le « ncartedhdhàte » 0 « frappe ») 0 si pieghettano e s’attorcigliano in rosette più 0 meno ampie (i « kalangi »), o si sminuzzano in corti e tozzi gnocchetti (i « pur-cedhdhuzzi » 0 porchettini) : le une e gli altri, fritteilati, si cospargono di miele 0 di zucchero, si spolverano di cannella, si condiscono con pinoli 0 mandorle tostate, formando la leccornia più delicata dei piccoli e dei grandi. La cena della Vigilia dev’essere straordinariamente ricca e svariata di vivande 0 almeno di frutta fresca e secca, sino al numero 13 di pietanze 0 di varietà; e