316 Natale greco-salentino quando la famiglia ha mangiato attardandosi a tavola fino a notte alta, si va tutti in chiesa, lasciando tuttavia la mensa apparecchiata « per le anime dei morti », che verranno questa santa notte a rifocillarsi ciascuna nella sua casa; e nessuno dimentichi di rifornire abbondantemente di mangime, di paglia e di biada i pollai, gli ovili, le greppie delle stalle, chè altrimenti gli animali ne moveranno lamento a Gesù nascituro. * H< * Non manca però un elemento spirituale in questa festa dell’umiltà e dell’infanzia, che la Chiesa ha preparato e coltivato nell’anima popolare nel periodo dell’Avvento, con le sacre funzioni di ricordo e di rievocazione della nascita del Redentore, che culminano negli splendori della Messa notturna la vigilia del Natale. L’uso dei Presepi non è frequente presso il nostro popolo salentino, che non ha tempo nè modo nè agio di allestirli e costruirne. Sono (od erano?) le famiglie mediocremente agiate che li metton su, con i « pupi » ed i pastori di creta colorata, comprati a Luppiu (Lecce) nella tradizionale festa e mostra di Santa Lucia il 13 dicembre: la « ghetonia » 0 vicinato si raccoglie la sera della Veglia attorno a questi presepi familiari, 0 nelle chiese a pregare, e i bambini a recitare loro strofette. La nostra poesia popolare greco-salentina è molto povera di sentimento religioso, come già osservò il Morosi, fors’anche perchè obliterata e cancellata dal rito latino, nella violenta sostituzione che vi si fece al rito greco nei secoli XVII e XVili, quando si diede la caccia, per dissennato zelo di latinità, a tutto ciò che di grecismo avesse ancora nel culto e nella liturgia il nostro popolo; si bandirono immagini e statue (tarda piccola iconoclastia in senso inverso!), si bandirono nomi agiofori di persona, devozioni a vecchi Santi del calendario greco, tutto soppiantando con elementi latini nostrani 0 forestieri. Tipico esempio il gallicano S. Brizio patrono della mia Calimera, dove il suo culto è relativamente tardo, e tardo l’uso del suo nome nell’onomastica popolare, apparendo sui libri parrocchiali dei Battesimi (da me attentamente sfogliati) soltanto verso la metà del sec. XVII, importatovi da certa famiglia Jacovicci non certo calimerese. Poeti popolari 0 fecondi versificatori da noi quasi non esistono più, dacché mori in Calimera, 60 0 70 anni fa, l’ultimo di essi, ancor ricordato col suo soprannome greco di Coccaluto (l’uomo dal « grosso occipite »), di cui si rammentano ancora e si ripetono col suo nome alcuni piccoli componimenti elegiaci di contenuto e d’ispirazione non religiosi. La poesia grecosalentina è ormai ridotta ad una sempre più rara virtuosità e curiosità dei pochi che se ne interessano, dei «dotti» paesani: quando si viene a risapere, di tanto in tanto, di qualche nuovo componimento occasionale che piaccia, viene subito messo in circolazione di bocca in bocca, e qualche giorno dopo tutto il popolo Io ha imparato, lo ripete 0 lo canticchia nelle case e nelle campagne. Oggi attorno alle luminarie del Natale, nella veglia del Presepe, si accendono gli ultimi pallidi focherelli della umile Musa grecocalimerese.