426 ■»£>•. tre secoli innanzi a quella nostra ottusa e bestiale ignoranza: solo vorremmo ci fosse detto come avessero a credersi, non che ignoran- 7 CJ tissimi, ma di pessimi e vituperosissimi costumi ( che tanto vuole la lettera), e sommersi nel fango d’ogni sfrenata licenza, que’Veneziani cui davansi a reggere spontaneamente le proprie città da’ popoli circostanti, e di cui la pietà, in quel secolo appunto fatta chiara per documenti non pochi, ebbe insigne riprova nel predecessore stesso del doge cui favellavasi dall’ Allighieri ; esempio eli’ei fu delle più belle virtù cristiane, e dal concetto di queste quasi prodigiosamente chiamato al berretto ? E se in una parte dell’ accusa l’ira del poeta ebbe a trasmodarsi dal vero, perchè no nell’altra? Se non che a confusione del Doni (e forse il suo fu peccato d’ignoranza piuttosto che di malizia), e di chi siede a panca con esso, abbiamo incontrastabile testimonianza d’altro padre della lingua e letteratura italiana, il Petrarca; il quale, di poco per età posteriore all’ Allighieri, e non tanto da render presumibile un cangiamento siffatto nelle condizioni intellettuali d’uu popolo, legando alla veneziana repubblica la sua libreria, mostrò ad evidenza o apocrifa la lettera, o trasportato dallo sdegno, più che consigliato dalla ragione, chi la dettava. Che se questo muto, ma tuttavia solennissimo testimonio non si volesse che tanto significasse quanto in fallo significa, veggasene altro più espresso in una lettera inedita di esso Petrarca a Stefano Colonna, proposto di Santo Ebdomaco, ricordata dal Mehus, che ne scrive al doge Marco Foscarini ( Opuscoli inediti o rari di classici o approvati scrittori, tomo I, face. 522 ), e reca le seguenti parole : Ne ibi quidem invenies (nella Italia settentrionale) ubi virtutis amicus atque odi conquiescat, praeter nobilissimam illam Venetorum urbem. Se 1’ amico della virtù potesse amare di ricoverarsi tra genti di tanto supina ignoranza e di sì riprovevole vita, quali ci vorrebbe la lettera dell’Allighieri, lascieremo che altri ne faccia giudizio. Meglio è quindi credere composti dall’Allighieri, secondo che la tradizione insegnava al Sansovino, e questi alla posterità colla stampa ( Venezia descritta, edizione 1665, face. 52S-26), alcuni versi divoti alla Vergine soprastanti alla sedia ducale nella sala del consiglio