23 raneo. Da questi il postumo falsario trasse materia per compilare il surrettizio decreto ufficiale di fondazione (1). lata nella sua antica elaborazione a contatto e in casa dei Dauli, utilizzando frammenti originali liviani, nei quali figurava il nome di membri della famiglia Dauli, che avevano partecipato alla fondazione, custoditi e tramandati gelosamente fin dal tempo dello scrittore latino. Ma per ottenere questi risultati, assiomaticamente postulati, bisognava e bisogna sconvolgere e manomettere forma e contenuto della cronaca del povero Dondi. Tutta la cronologia della cronaca, la quale parte dal 413, se ne va all’aria ; tutti i personaggi, salvo quelli che fanno comodo, sono licenziati ; tutto il racconto diventa, si capisce, anacronistico. Di tutta la cronaca sopravvivono solo le poche frasi, ohe l’intuito storico del critico giura e spergiura essere autentiche e genuine, salvate dal fatale naufragio delle opere liviane per gelosa cura della famiglia Dauli. Se non fosse gratuita invenzione, potrebbe costituire per i filologi un saporito capito-letto inedito e sconosciuto della fortuna dei libri dello storico romano nel medio evo. Tutto è anacronistico : e perciò le date sono corrette, s’intende, secondo il proprio gusto, e l’unità di esposizione, che nella cronaca è, secondo i criteri e i metodi deU’annalistica medioevale, rispettata e coerente, è torturata ben più paradossalmente della tortura inflitta dalla critica moderna (leggi Monticolo, Cipolla, Simonsfeld, Besta, Lenel ecc. e l’umile sottoscritto) alle fonti medioevali. Non discuto tale elegante procedimento, traverso il quale la cronaca del buon medico di Chioggia è stata trasformata in una cronaca romana. Per conto mio preferisco mancare di intuito storico, piuttosto che indulgere a un metodo di cosi grande arbitrio. Neppur la leggenda, che si intendeva metter in valore, ai salva : la famosa data del 421 è contestata (eccetto il giorno e l’ora) ; la consacrazione della chiesa di S. Giacomo si trasforma nientemeno che in un concilio antiscismatico di vescovi cattolici, che proclama la fine dello scisma, (la Cronaca non lo ricorda, e nessun’altra fonte lo ricorda, ma non importa), e naturalmente va spostata di qualche secolo, dal 429 al 609 circa. Ma si trattava di valorizzare la presenza nella leggenda di un vescovo padovano Severiano dei Dauli. La leggenda diventa romanzo, senza avere i valori letterari, che l’opera d’arte sa scrutare nelle profonde verità spirituali dell’invenzione narrativa. Perciò pienamente consento, nella interpretazione della Cronaca padovana, con il Lazzarini e con quanti prima di lui, storioi e letterati veneziani, la conobbero e la usarono (anche senza sospettare l’identità dell’autore) e la valutarono per quello che è, una tarda leggenda. La fallace erudizione del Marzemin (Le origini romane di Venezia, Venezia, Fantoni, 1937) non impressiona. (1) Intorno alla genesi del documento e al suo valore intrinseco ed estrinseco, aderisco in tutto alla chiara, precisa e inconfutabile esposizione del Lazzarini (H preteso documento cit., p. 110 sgg.), e alle sue conclusioni riassunto nel testo. Cfr. in proposito Franceschi»!, La cronachetta di maestro Jacopo Dondi, in « Atti del R. Ist. Ven. di S. L. A. », to. XCIX, p. II, (Se. mor.), p. 969 sgg.