migliori che ivi s’additi. — Ai nominati son da aggiungersi Matteo Ingoli, ravennate, e Gio. Battista Novelli, quello uscito dalla scuola di Luigi dal Friso, di un pennello tutto precisione, tutto industria ; questo che, scolare del Palma, educò all’arte quel Pietro Domini che seppe tenersi discosto dal comune naufragio, e del quale parleremo più innanzi. XIV. SETTA HE’ NATURALISTI E De’ TENEBROSI. Verso gli anni 1650, e dopo che la peste avea mietute assai vite, fra cui vari pittori che ancor sostenevano il nome della patria scuola, pervenne a Venezia una schiera di artisti, che, educati in città straniere, e per lo più ammiratori del Caravaggio, non con-venivan fra loro se non in due cose : l’una di consultare il vero più che fatto non si avesse fino allora; pensiero utilissimo, perchè l’arte, divenuta vii mestiero, tornasse arte ; ma non ben eseguito da molti di essi, i quali o non sapevano scerre il naturale, o non sapevano nobilitarlo, o, se non altro, co’ soverchi scuri 1’ ammanieravano; l’altra di servirsi d’imprimiture di tinta profonda ed oleosa ; cosa che quanto ajuta alla celerilà, tanto nuoce alla durevolezza, essendo questa infezione stata propagata in più paesi, fino a restarne attaccata la grande scuola de’ Carnicci. Da ciò accadde che in molte ili quelle pitture non son oggimai rimasi se non i lumi, sparilone le mezze tinte e le masse degli scuri, e che la posterità ha trovato a questa schiera di artefici un vocabol nuovo, chiamandoli setta dei Tenebrosi. Si vide quindi una quantità di stili in Venezia, e chi seguiva il Caravaggio, come il Saraceni, chi il Guercino, siccome il Triva, ed altri ancora, secondo eran guidati dal proprio genio. — Contavansi in questa città, fra gli stranieri pittori, e lo Strozzi ed il Cassana, genovesi, il primo dei quali la empì di opere, e Pietro Ricchi, lucchese, che pure lasciò, e in Venezia e per lo Stato, assai tele di gusto cattivo in ogni conto : v’ era Federico Cervelli,