308 Certamente i due uomini concepivano e apprezzavano diversa-mente il quadro della vita politica interna e anche di quella esterna : l’uno cauto e prudente senza grandi ardimenti, l’altro audace e bellicoso. Diversa in particolare era la visione del problema adria-tico, al cui assetto il programma del duca Giovanni appariva insufficiente e poco conclusivo. Il neo-eletto riprese l’indirizzo del passato, e con brillante vigoria lo integrò, rifacendosi all’obbiettivo principale della politica veneziana, inutilmente divertita ad altre mete, sopra l’avversa sponda, e alla necessità di affrontarlo con attenta e risoluta iniziativa (1). I pochi mesi del suo governo, nell’886, libero da preoccupazioni interne, furono dominati da questo ideale, e il duca operò al suo trionfo con fermezza, senza pentimenti. Dove pareva non arrivasse l’audacia degli esecutori, subentrò personalmente spiegando un cavalleresco ardire per superare gli ostacoli. L’insuccesso non lo disanimò. II ritorno umiliante di una prima squadra, lanciata sopra le rive narentane a offendere il nemico, non indusse a sfiducia e a pessimismo, ma la sconfitta più vivo stimolò il senso di interesse e di dignità nazionale. Il duca in persona, che se ne era fatto antesignano, assunse il comando della flotta. Con l’audacia del conquistatore drizzò baldanzoso e ardente le patrie navi contro il nemico. Il quale non sostenne l’urto aperto e leale, ma si ritrasse nei suoi nascondigli, in essi attese l’assalitore per schiacciarlo con l’insidia (2). La disavventura della prima battaglia non lo aveva fiaccato. La squadra avversaria fu raggiunta nei suoi comodi rifugi, fu battuta, fu falcidiata. Invaso da spirito bellicoso, con un pugno di uomini, fiducioso nelle sue forze, si avventurò a inseguire il nemico sopra la sua stessa terra. La fortuna non assecondò egualmente l’ardimento. Sopraffatto non dal numero, ma dall’ insidia, cadde in un estremo brillante scontro. Una nobile vita era invano troncata e la sua fine distruggeva il frutto della generosa impresa. Morto il condottiero, che aveva guidato l’armata al trionfo, questa doveva melanconicamente retrocedere (3). (1) Iohan. Diac., Chrcmicon cit., p. 128. (2) Iohan. Diac., Chronicon cit., p. 128. (3) Iohan. Diac., Chrcmicon cit., p. 127.