<&> 465 ->$=■ inedite. Di gran conto poi, e forse sopra ogni altra opera, die ne! nostro dialetto abbia veduto il secolo decimosettimo, si è la Carta del navegar pitoresco di Marco Boschini, già mentovato (Venezia, per il Baba, 1660), poema in otto libri, steso a modo di dialogo, e il quale, come può argomentarsi dall’allegorico titolo, tratta della storia della pittura. L'allegoria del titolo è continuata per tutto il libro ; ma questo tributo pagato al gusto prevalente, può scusarsi a contemplazione de’retti giudizii e delle ottime riflessioni che si fanno sugli artisti e sull’ arte. Il secolo decimottavo, specialmente quanto a poesia, può dirsi il secol d’ oro del nostro dialetto. Carlo Goldoni scrisse in esso le sue più efficaci commedie: e qual altro dialetto al mondo saprebbe vantarne delle uguali? Può dirsi a buon dritto che appartengano pure in gran parte al dialetto nostro le Fiabe celebri di Carlo Gozzi. Come Giusto de’Conti intitolò Bella mano il suo canzoniere, dai ca-vei de Nina prese il nome una copiosa raccolta di sonetti di Giacomo Mazzolà (Padova, 1785). Con questo di più che il Mazzolà non perde mai d’occhio effettivamente i capelli che danno il nome al suo libro. Emulo de! Redi nel suo ditirambo è il Pasto (El vin friu-laro de Bagnoli, Padova, Conzatli, 1788, e dopo più volte). Pubblicatosi da vari ingegni bizzarri per lo più di Bologna il Bertoldo, trovò questo nel nostro vernacolo in Giuseppe Pichi (Padoa, Zambatista Conzati, 1747) non ignobile traduttore. Nè si limitò esso vernacolo a far propri i poemi italiani, ma l’Iliade stessa fu dal dotto Francesco Boarelli ricantata in ottave (Venezia, Fracasso, 1788). Numerosissima si farebbe la lista se tutti volessimo ricordare i poeti che in questo secolo trattarono il veneziano dialetto non senza merito ; ma di tre non ci sarebbe perdonato il silenzio. Giorgio Baffo, a cui lo scrivere licenzioso acquistò fama non invidiabile, sortì da natura assai delle doti che richieggonsi in buon poeta. Poche poesie non insozzate della oscenità a lui consueta, possono leggersi nella Raccolta di poesie, ec. (Venezia, 1846, facc. 404) già ricordata a principio. Francesco Gritti e Antonio Lamberti segnarono l’ultimo confine, a cui, per quanto ne sembra, si possa arrivare poeteggiando vol. i, p. ii. 59