202 dei vescovi, trasferitisi propter oppressionem paganorum ; che a egual titolo tennero le due sedi, fino alla divisione tra Aquileia e Grado, alla quale fu attribuita l’Istria. Al prelato gradense premeva convincere i padri della sinodo che Grado era sede episcopale metropolitana, allo scopo di difendere l’integrità della chiesa nazionale ; quanto a Massenzio, invece, spogliarla di ogni privilegio, ridurla al grado di una plebs soggetta ad Aquileia, per spianare la via alla restaurazione del diritto giurisdizionale sopra l’Istria e per eliminare la duplicità di titoli metropolitani. La sinodo, ossequente a remoti pregiudizi, incapace di esercitare un vaglio sereno e obbiettivo, sentenziò la fine del patriarcato gradense. Ma esso non mori (1). Anzi per la vitalità ecclesiastica veneta, liberata dal peso ingombrante e fastidioso ormai della giurisdizione istriana, si schiuse un’era nuova, assai più rigogliosa, che non fosse quella di reclamo di sterili diritti, prescritti dalla coscienza pubblica prima che da decreti ufficiali. 11. — Alle subdole ed equivoche manovre aquileiesi, che minacciavano compromettere l’integrità nazionale (questa poteva essere la più grave conseguenza delle conclusioni mantovane, se applicate), la calma e serena coscienza veneziana oppose un dignitoso e solenne gesto, per iniziativa del governo ducale, suo fedele interprete, assai più significativo di vane proteste o dei lamenti episcopali. Alle fasi del dibattito aquileiese l’opinione pubblica non si era (1) Venerio non mancò di protestare presso Gregorio IV e chiedere una revisione del giudizio, fingendo di ignorare le decisioni mantovane. Nunc autem, egli diceva, sicul cognovimus, gloriatur se idem Maxentius palarti per praeceptum domini imperatoris diocesim Istriensium habere, et ipsi electi post octavas paschae praeparant se ad ordinationem. Et hoc qualiter absque iudicio factum fuerit, ignoramus (M. G. H., Epist., V, 316; Documenti cit., I, 91). Non si ha notizia del diploma imperiale presunto dal vescovo, ma il successivo diploma di Ludovico II e gli atti della sinodo del 1027 ricordano in proposito una bolla di Gregorio IV. Forse si trattò della bolla di promulgazione degli atti mantovani. I brevi di Gregorio IV a favore di Venerio, ricordati dal Dandolo, sono sospetti ; come pure è sospetta la concessione del pallio da parte dello stesso papa (Cfr. Kehr, Italia pontificia, VII, 2, n. 33 ; Paschini, Storia, I, 175).