<3» 165 "£=' XVI secolo l’arte loro esercitarono sui deserti lidi dell’ Eritreo, e, ne’ secoli dopo, a richiesta di que’ sovrani, la insegnarono in Inghilterra, in Isvezia, nella Polonia e perfin nella Russia, a’ tempi del Grande Pietro. Un arsenale che Dante tratteggiò ne’ suoi versi, di cui Galileo, in que’ discorsi all’ amico Sagredo, ne celebrava i pregi, 1’ alta riputazione e la somma perizia degli artefici in ogni specie di meccanismi ; un arsenale, la cui rinomanza va strettamente congiunta a’ fasti della nostra storia ; questo arsenale meritato avrebbe una narrazione più estesa e molto più circostanziata, od almeno uno scrittore che avesse, con più proprietà ed ordine che noi non facemmo, registrate le vicende cui in tanti secoli egli soggiacque ; ma ad ottenere tolleranza ci giovi il mostrato buon volere, l’amore delle patrie memorie, il desiderio di far meglio conoscere le nostre cose e di contribuire a scancellare dalla capricciosa mente di alcuni stranieri la mala impressione che vollero farsi, sì di Venezia, e sì di ciò che ad essa si riferisce, senza darsi la onorata briga di sceverare il bene dal male, di consultare i tempi e i costumi, e senza distinguere i sommi meriti dalle imperfezioni e dai difetti inevitabili alla condizione dell’ uomo, e comuni a tutti i governi ed a tutti i popoli ; il perchè termineremo questo scritto al modo stesso con che vi abbiamo dato cominciamento, trascrivendo, cioè, una giustissima riflessione del nostro Temanza, il quale ebbe a dire, che « male avveduti sono certi stranieri, i quali, traspor-» tati da uno spirito superficiale e non penetrante, impiegano ogni » loro sforzo nel porre in vista con troppo ricercala amplificazione » alcuni difetti di noi Veneziani, non accorgendosi, che quali pic-» cole pustule sparse sopra la superficie d’ un gran corpo, d’altro » non sono argomento, che della interna sanità e della robustezza » del medesimo. »