354 che equivaleva a un rifiuto, fidando superare le asprezze della crisi, che s’addensavano, con un sorriso d’amore (1). Fallito il tentativo diplomatico, l’opera segreta delle congiure rinasceva più audace, e ricacciava la vita veneziana tra i tormenti oscuri delle lotte intestine. Incoraggiati dall’appoggio imperiale, i fautori dei Candiano con instancabile tenacia si disponevano alla riscossa (2). La patria era ancora una volta turbata da pericolo. Il cronista, per pia devozione, si industriò di mettere in oblio le ore tristi, esaltando la bonomia e la santità dell’uomo e avvolgendo in mistiche finzioni lo sviluppo e l’ultimo atto del dramma. La rude e tremenda verità non poteva però esser tutta occultata. La coscienza dell’uomo, che suo malgrado aveva assunto le gravi responsabilità di governo, sorretto dalla fiducia di restaurare la concordia interna, non piegò alle contrarietà, che ostacolavano l’adempimento del suo programma. Consapevole dei propri doveri, si dispose a respingere la violenza, organizzata in segrete conventicole, non meno risolutamente del diniego opposto alle lusinghe di una insinuante diplomazia. Prima di scomparire egli sperava che l’appello, rivolto a quanti erano vissuti e vivevano nei sani affetti di patria, non sarebbe rimasto inascoltato. Se il cronista afferma che egli preferì, per santa ispirazione, soffocare la congiura nel perdono piuttosto che nel sangue (3), i documenti rivelano la tragicità del dramma alla vigilia del fatale precipitare degli eventi. Al monito ducale i nemici interni ed esterni, risposero con armonica intesa, pronti alla guerra. Milizie imperiali si associarono a quelle audacemente reclutate nelle isole. Un cerchio di ferro si strinse intorno al longanime governo orseoliano, il quale tuttavia in presenza (1) Iohan. Diac., Chronicon cit., p. 141 sg.; S. Pier Damiano, Vita S. Ro-mualdi cit., p. 215. (2) Iohan. Diac., Chronicon cit., p. 142 : antedictus vero dux ceptam pattine salutem sollerti studio procurare non desiti, licei aliquanti, quorum consi-lio - patriarcha imperatorem aditi, sue dictioni perversos repugnaiores ejficeren-tur, adeo ut suam vitam crudeli funere perdere molirentur. (3) Iohan. Diac., Chronicon cit., p. 142 : tamen tante bonitatis et divine virtutis gratia vigebat, ut quicquid ipsi de se danculo iniqua machinatione de-terminarent, nemine indagante, cognosceret nullique resistente aliquod nefas recompensare voluti, sed equo animo Dei timore omnia tollerando sustinebat.