della Marina Militare. 293 violati prima da Tripoli, poi da Algeri, in ultimo da Tunisi. Nel 1774 Venezia ripigliò le armi ed ebbe la ventura di trovare in Angelo Emo Capodilista un uomo di mare di quel metallo onde erano stati composti Lazzaro Moce-nigo, Francesco Morosini, Cornaro e Flangini. Emo non dispose mai di forze eccessive; perchè nel periodo più vigoroso della guerra gli ubbidirono 9 vascelli, 5 fregate, 4 sciabecchi, 8 barche cannoniere e 4 galeottine, con cui bombardò Susa, Biserta e la Goletta. La guerra durò tre anni ; i Tunisini non si ridussero a chiedere pace ; e gli antichi conquistatori di Costantinopoli opinarono che la guerra costava due milioni e mezzo di ducati all’ anno ed una pace alquanto vergognosetta costava meno; tale fu conchiusa, con settantatre voti favorevoli contro sessanta-cinque contrari, nel consesso dei Padri. La impresa di Emo fu l’ultimo palpito della marina veneziana, la quale incontrerò ancora due volte nel corso di questa istoria, 1’ una nei pressi di Lissa, durante le guerre napoleoniche e l’altra difendendo la patria laguna nel 1849. Le imprese di Emo si legano ad un fatto marittimo sommamente notevole, che è la comparsa nel dominio della strategia di un materiale blindato, resistente al tiro dei forti a terra. Le prime batterie corazzate le ha inventate Angelo Emo Capodilista. Prima di darne una descrizione, è d’uopo ricordar il passato e dir della evoluzione accaduta nel duello fra la terra ed il mare eh’ è tanta parte delle gesta navali. Renati d’ ElÌ9agaray, inventore delle galeotte bombardiere, aveva reso un servigio alle armi di mare, ed il suo trovato fu piaudito e da tutte le marine copiato. Il lettore ricorderà che dopo il bombardamento di Genova, molti altri se ne incontrano. La terra si premunì contro la nave coll’usar gli angioli per colpirne l’alberatura, e le palle infuocale per provocarne l’incendio. Le batterie a terra avevano all’ uopo, in luogo appartato e riparato, certi forni nei quali i proiettili si arroventavano. Quando giungeva il momento di usarli, si poneva, tra il cartoccio di polvere e la palla rovente, uno stoj>paccio piuttosto lungo di fieno bagnato, sul quale si posava un secondo stoppaccio annu-