111 •»£> può esser vero in alcuna parie (della qual colpa non sappiamo quali scrittori, se non forse rarissimi, possano andare interamente assolti); ma dello scambiare per verità la menzogna, non sappiamo che sia stalo detto così ricisamente come fa il Botta, o se fu detto da taluno (e qual censura ci fu risparmiata?), non sappiamo che tali bugie sieno state provate: ove per bugie non intendansi le inesattezze involontarie provenienti da incompiuta notizia dei fatti, o i diversi aspetti secondo i quali può un fatto considerarsi ed interpretarsi da’ diversi autori. Questo sappiamo noi bene, che oltre al vedere citati gli storici nostri, gli abbiamo veduti assai volte copiali senza citarli ; e splendida testimonianza di ciò non ha molto ci fu addotta dal Manzoni nella sua Colonna Infame (ed. in 1.°, 1810, facc. 857 e seg.). Ella sarebbe pur lepida cosa che della loro veracità si facesse caso per derubameli in silenzio ed abbellirsi delle loro spoglie, poi si mostrasse di non curamela, o assai poco, parlandone nominatamente. Sarebbe egli questo però nuovo esempio e da stupirne, non direm nella storia delle lettere, ma e degli uomini in generale? Ora, per non allungarci oltremisura, l’aver avuto la nostra città schiera non interrotta di storici che scrissero per pubblico comandamento, fu cagione, crediamo, di far nascere, o per lo meno di rendere presumibilmente vera l’accusa. L’ onore che viene a chi scrive d’ ordine d’ un magistrato sopra materie ragguardanti come che sia esso magistrato, rade volte, se pur alcuna, scompagnasi dal sospetto che la penna non iscorra libera come e quanto vorrebbe ; e la distinzione solita a farsi da scrittore a scrittore si limita per lo più nel maggiore o minor peso che a siffatto sospetto si attribuisce. Per altra parte, molle opportunità sono date a tali scrittori, che dagli altri si desiderano vanamente; e se non fosse presumer soverchio della nobiltà dell' umana natura, vorremmo aggiugnere, che chi parla in nome, per così dire, d’una nazione, e sotto la tutela della pubblica autorità, si trovi, attesa la dignità dell’incarico, sollevato dalle passioni abbiette e volgari, e debba per conseguenza sentirsi fortemente portato a dire il vero, e distolto dall’ infamarsi mentendo. Stimiamo potersi di tal sentenza allegare VOL. i, p. ii. 56