480 Stòria generalé vien subito alla mente che i generali cristiani che guidarono la guerra dal 1500 al 1560 nè di cuore nè di maestria difettassero. Carlo V, il D’ Oria, i.1 marchese del Vasto, il Medina Celi, gli Orsini, il Sande, il duca d’Alba, erano uomini di guerra sommi. Eppure i loro trionfi furono parziali ed hanno il carattere indelebile di una rimarchevole sterilità. Lentezza nelle mosse, armamento assottigliato da ristrettezze erariali, povertà di provvigioni, gelosie di condottieri, ecco i difetti dell’ armata cristiana del XVI secolo. Carlo V ne aveva coscienza sì piena, che due volte, a Tunisi cioè e ad Algeri, tolse in persona il comando, imponendo così silenzio alle inevitabili rivalità. Qual differenza coll’ arte di guerra de’ Turchi e de’ loro ausiliari corsari ! Mirate in primo luogo l’omogeneità del naviglio ; fuorché per trasporto di truppe, non ci sono mai navi nelle loro squadre; galere, galeotte e fuste sono sempre accuratamente armate, ben provviste, ben spalmate. I generali del mare preludiano le loro mosse sempre con una corta stazione in uno spalmadore ; quando escono da Topkhané (l’antico arsenale degl’imperatori greci di Costantinopoli) nulla manca loro, nè giannizzeri, nè viveri, nè munizioni. In un curiosissimo e raro scritto a stampa che ho avuto per le mani e che si conserva nella biblioteca di S. A. E. il Duca di Genova, un soldato italiano imbarcato sulle galere di Leone Strozzi narrando della campagna di Barbarossa all’ assedio di Nizza esalta la disciplina de’ Turchi, l’ordine dominante sulle navi, e l’acquisto de’viveri a danaro sonante, e (ciò che pare a noi anche più strano) la mitezza di cuore ili chi è preposto al comando. Non si dimentichi come uno de’coefficienti di vittoria fu sempre lo studio delle armi di bordo. Barbarossa (più su l’ho ricordato) fu un riformatore dell’artiglieria; e di lui si rammenta la tipica frase esprimente: « il braccio è meglio sia lungo che grosso » ; egli intendeva significare che la gittata lontana è migliore del calibro grave. Pantero Pantera cita più volte Luccialì come un modello d’amiraglio, e gli consacra pagine d’encomio là dove