della Marina Militare. 281 piazza, confidano maggiormente nei gatti. Era il gatto specie di macchina murale usata dagli Italiani del medio evo, e simile alla vigna e alla testudine degli antichi Romani, ma più spedita. Immaginate un magazzino sopra ruote, formato con armatura di travi massiccio, tutto coperto di tavoloni, e fasciato con piastre di ferro battuto e di cuoia fresche : riparo contro il fuoco e contro il ferro dei nemici. Sojjravi il tetto a largo pendìo, a tergo la porta, ai lati le feritoie, innanzi un portello donde esce la estremità anteriore del trave ferrato a testa di gatto, cioè col muso piatto e le orecchie allargate e ritte ; dentro finalmente le ruote, sulle quali i soldati stessi ivi raccolti fanno camminare la macchina sul terreno. La quale nel complesso ritraeva le forme del quadrupede di cui portava il nome: perchè essendo lunga e bassa, di acuta schiena, colla testa ciondoloni fuor del portello e la coda uscente dalla opposta estremità, strisciante sul terreno senza mostrar le gambe, dava vista da lungi dell’animale medesimo che si avvicina quat-ton quattone alla preda per ispiccare il salto e ghermirla. Salti grandi e terribili levar potrebbe ancora questo vecchio arnese nella guerra murale e nella campale, se tornasse rigenerato dall’arte moderna, vestito di corazza, e menato dal vapore. « Del resto dirò che l’opera delle colmate non finiva mai, perchè la corrente menava via fascine e terra; i gatti altresì andavano infranti dalle petriere e talvolta bruciati dal fuoco greco; in un sol giorno ce ne furono magagnati sette : e correan pericolo anche i ponti sul fiume dove sca-ronzavano i Musulmani con 20 o 30 galee alla volta, e alcune barbotte per incendiarli. Il gatto fabbricato da’Romani e dagli Spoletini insieme coi Genovesi, mirabile costruzione, e già condotto al ciglio del fosso, riinpetto alla torre voluta distruggere, fu bruciato alli dieci di luglio. Nelle ore meridiane quando, spossate dal caldo e dalle fatiche, le nostre guardie si riposavano alquanto, vennero soppiatto otto disperati, e gli dettero fuoco; sei tornaron-sene fuggendo a precipizio in Damiata, due infelici sorpresi sull’atto furono gittati vivi nel mezzo alle fiamme della macchina ardente e consumaronsi insieme con quella.