della Marina Militare. 37 Poi l’Acaico paese, e la cittade Di Tessaglia n’accolse bisognosi Di cibo ; e quivi anco perir gran gente Di fame e sete. Alla Magnesia terra Poscia, e al suol de’ Macedoni venimmo Su le rive dell’Assio, e alle palustri Canne di Bolbe, e al Pangeo sublime Nell’Eonia contrada. In quella notte Suscitò Giove intempestivo verno, Tal che fe’ tutte congelar del puro Stiimone le correnti. Allor chi pria Non conoscea gli dei, supplici anch’ essi Orar, la Terra venerando e il Cielo. Poi cessale le preci, e il molto i numi Fausti invocar, su l’invetrato fiume Passan le genti; e qual di noi fu presto L’altra sponda a toccar, pria che suoi raggi D’alto spargesse il sommo dio, fu salvo; Poi che in breve l’ardente orbe del Sole Con sua vampa scaldando il fiume sciolse Nel mezzo, e tutti l’uno sovra l’altro Precipitando s’affondar. Felice Chi spirò sul momento il fiato estremo ! Quei che a sorte campar, Tracia a gran stento Attraversando in disastrosa fuga, Vengon, non molti, al patrio suolo; e piangere Ben può Susa, che invan la tanto cara Sua gioventute riveder desia. — Il vero è ciò. Lascio il narrar non pochi Altri mali che a’ Persi inflisse il Cielo. Coro. « Oh dura sorte, oh come grave troppo I Persi tutti col tuo piè calcasti! Atossa. Ahi me misera', ahi quanta oste perduta ! Oh sogno, oh chiara vis'ion notturna, Come aperto e verace i nostri danni Mi rivelasti ! Ah troppo mal sapeste Interpretarla voi; ma in ciò che saggio Fu il parlar vostro, io ’1 vo’ seguir: gli Dei Invocar primamente, indi alla Terra E all’ombre degli estinti offrir libarne, Che da mie stanze recherò. Ben veggio,